Pedro Rosa Mendes: guardare all’impero dai limiti dell’impero
Pedro Rosa Mendes: guardare all’impero dai limiti dell’impero
Si è tenuto il 23 maggio un incontro con lo scrittore Pedro Rosa Mendes presentato dalla professoressa Livia Apa, docente di lingua e letteratura portoghese all’Orientale, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati, il dottorato in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, il Centro di Studi Postcoloniali e il Centro di elaborazione culturale e formazione “Archivio delle donne”
“Scrivere l’impero” – questo il titolo della conferenza – ha rappresentato innanzitutto un’occasione per conoscere più da vicino Pedro Rosa Mendes e per entrare nel vivo della sua scrittura: la professoressa Apa ha quindi introdotto lo scrittore facendo riferimento ai suoi numerosi viaggi in giro per il mondo e alla sua maniera unica di concepire l’idea stessa del viaggio, quasi ad arrivare ad una riscrittura e ad un capovolgimento dell’esperienza mobile, esperienza – come ha suggerito la Apa – fondativa della letteratura portoghese.
Lo spazio imperiale viene quindi delineato come uno spazio dai confini labili includendo zone poco ovvie come Timor Est, paese in cui l’autore ha vissuto per circa tre anni come corrispondente di un’agenzia di notizie portoghese e luogo di ambientazione del suo ultimo romanzo Peregrinação de Enmanuel Jhesus (Dom Quixote, 2010).
Il filo rosso che è possibile reperire nella scrittura di Rosa Mendes fa sicuramente riferimento al concetto di “cartografia” intesa come un’ossessiva necessità di “disegnare luoghi con la lingua”, per riprendere le parole della professoressa, anche e soprattutto al fine di sfatare il mito di una fratellanza in nome della lingua rintracciabile nello spazio imperiale.
“Pedro” – ha continuato poi Apa – “ha il cattivo vizio di dire quello che pensa” e proprio per questo è una figura importante per la libertà di opinione in uno scenario come quello del Portogallo. A riprova di quanto detto, lo scrittore è chiaramente considerato un personaggio scomodo, e recentemente è stato licenziato da una radio portoghese per aver registrato una cronaca polemica contro l’Angola, Paese ormai lontano dal suo passato da colonia e, anzi, in pieno boom economico, tanto da ribaltare i vecchi rapporti di forza investendo in Portogallo e “comprandolo”.
Pedro Rosa Mendes quindi comincia ad accompagnare gli astanti in un viaggio attraverso la sua scrittura focalizzandosi principalmente sul portoghese come lingua imperiale, accettata in questo senso dopo un percorso che lo ha portato a poter scrivere “più a suo agio”, e sull’accordo ortografico come scelta politica che prescinde il reale disaccordo esistente, da intendere come tratto caratteristico della lingua stessa. L’autore, infatti, oltre a riconoscere se stesso e la sua generazione come figli della democrazia, sostiene di non poter prescindere e cancellare il passato della dittatura coloniale portoghese: emerge dunque il senso di confusione e la difficoltà nel connotare il concetto di impero per come è oggi, effettivamente ormai senza uno spazio. Se come nozione politica infatti l’impero non esiste più, questo continua a perpetuarsi inevitabilmente nelle scelte sociali, politiche e culturali del Portogallo fatta esclusione per la lingua in quanto non afferente ad un Paese emergente in contesto geo-politico.
Scrivere comincia quindi ad apparire come un tentativo di “riscrivere” la lingua comune cercando un dialogo con lo spazio linguistico: in Baía dos Tigres (Dom Quixote, 1999), il primo romanzo di Rosa Mendes, ancora una volta si assiste ad un percorso di rivisitazione dello spazio geografico, in questo caso corrispondente ai territori di Angola e Mozambico. E ancora una volta si è molto lontani da un mero diario on the road, come ha specificato lo scrittore: “quello che mi interessava” – ha continuato Rosa Mendes – “era la lingua da usare per raccontare la situazione di violenza estrema di quel contesto”.
Ancora nel prossimo romanzo – ci anticipa l’autore che è impegnato in questo progetto da ben undici anni – sarà ripreso il tema del pellegrinaggio all’interno del contesto linguistico e in particolare si analizzerà la situazione della Guinea-Bissau.
L’autore non nasconde dunque il suo rapporto tormentato con la lingua che definisce anche accennando al concetto di criptolusofonia, secondo cui si può parlare di “uno spazio lusofono che esiste senza necessariamente appartenere agli spazi riconosciuti come ufficialmente lusofoni” o – per utilizzare una definizione proposta dallo stesso Rosa Mendes – alla semplice distinzione tra lusofonia e lusofilia.
Il messaggio di Pedro Rosa Mendes sembra essere un invito a guardare all’impero da una nuova prospettiva, quella che parte appunto dai limiti dell’impero stesso.
Francesca De Rosa
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