Reti. Origini e struttura della network society

 

Reti. Origini e struttura della network society

La locandina dell'evento

Un incontro a palazzo Giusso con il sociologo Andrea Miconi sullo stato odierno della Rete

Napoli, 14 gennaio 2012 - Ormai gli studiosi ne parlano sempre di più. Internet non è più quello di una volta. Non si tratta di un rimpianto di nostalgici del 56k, o meglio: non solo di questo. Il fatto è che con il passaggio dal cosiddetto Web 1.0 – statico – al Web 2.0 – dinamico, per intenderci quello dei blog, di Facebook e di Wikipedia – è cambiato anche l’uso che noi facciamo della Rete.
Per rendersene conto basta fare riferimento all’esperienza quotidiana. Come si chiama il quinto Presidente della Repubblica Italiana? Cerchiamo su Google! Qual è il numero della farmacia più vicina? Google può dircelo! Insomma, le applicazioni sono innumerevoli tanto che gli americani hanno inventato un verbo – to google che si è anche italianizzato – e un sostantivo – google-fu – per definire l’abilità di qualcuno a trovare informazioni sul motore di ricerca.
Ogni secondo nel mondo 34.000 persone cliccano sul tasto cerca. Per avere un’idea della scala di grandezza basti pensare che Bing, il motore di ricerca concorrente, ne effettua solo 927. Ma anche per contattare un amico per invitarlo al cinema si pensa subito a Facebook, una rete che ormai conta 800 milioni di persone, più del 10% della popolazione mondiale.
Chi ricorda più la casualità di trovare una pagina Web su un dato argomento, arrivandoci cercando tutt’altro? Oppure quanto è diminuito il nostro utilizzo della mail per contattare gli amici? Ciò che caratterizzava il Web dei primi anni era la sua serendipità, ovvero la tendenza a effettuare scoperte sorprendenti cercando qualcos’altro.
Quanto sta accadendo oggi invece è un rinchiudersi dell’esperienza di Internet in giardini chiusi: walled gardens. Cercare informazioni è diventato andare su Google o Wikipedia, contattare gli amici vuol dire farlo su Facebook dove si contatta chi si conosce già. Insomma, come dice forse un po’ drasticamente Tim Berners Lee – uno che di Web se ne intende, in quanto inventore dell’ipertesto – il Web è morto.
Internet infatti è sempre più uno spazio in cui facciamo solo esperienza di ciò che ci è familiare trovando quello che cerchiamo e poco altro. Lo spazio per la libertà di movimento e per le scoperte casuali si è ridotto, rinchiuso da quelle che alcuni hanno definito delle vere e proprie net enclosures, con esplicito riferimento alla teoria marxista.
Sì, perché, pur se la Rete è un posto virtuale, alle grandezze di scala di aziende come Google o Facebook sfioranti il monopolio corrispondono delle vere e proprie rendite di capitale e di potere. Insomma, quelli che sembrano solo dei giganti immateriali sono in realtà dei soggetti economico-politici di livello transnazionale piuttosto concreti. Ma è stato sempre così oppure poteva andare diversamente, viste le premesse liberatorie che entusiasmarono molti nei primi anni di vita di Internet?
Di questo e di altro si è parlato il 13 gennaio a palazzo Giusso, durante un incontro-dibattito con Andrea Miconi – a cui ha partecipato la professoressa Tiziana Terranova – nell’àmbito del laboratorio sui nuovi media tenuto dal professore Vito Campanelli. Miconi, docente di Introduzione ai Media e Sociologia dei processi Culturali allo IULM, ha presentato il libro Reti. Origine e struttura della network society pubblicato da Laterza nel 2011 (collana Libri del Tempo, € 20).
Nel volume ha effettuato un riepilogo di cosa è stato e di cos’è Internet oggi. La domanda che sta alla base del libro è: come si è passati dall’entusiasmo per la promessa di libertà che molti vedevano in Internet grazie alla sua struttura orizzontale, alla sostanziale chiusura odierna? È qualcosa di immanente o di trascendente alla Rete stessa? Insomma: que reste-t-il de nos amours?
Il sociologo è pessimista: la storia delle tecnologie comunicative ci insegna che tutte le innovazioni – ferrovia, telegrafo, radio – dopo una prima fase di libertà hanno visto una sempre maggiore chiusura e concentrazione del monopolio. Insomma chi possedeva il capitale è stato capace di sfruttare a proprio vantaggio le nuove tecnologie quando ha capito come monetizzarle.
Per questo, secondo gli esperti, da una fase di surplus cognitivo, Internet com’era, si è passati a una fase di chiusura: i profili, le ricerche su Google – tra l’altro sempre più personalizzate – il formato del blog e via dicendo. I pochi siti che usiamo imparano dalle nostre scelte, si creano profili utente, i risultati sono sempre più mirati. Com’è possibile che la pubblicità su un sito corrisponde a quello che ho cercato il giorno prima su Google?
Resta da chiedersi come sarà il futuro. In realtà il sociologo non può dirlo con certezza. Quello che è certo è che, a causa della struttura a rete di Internet, e dei rapporti di forza che si sono formati, i nodi della Rete che sono già grandi sono destinati a diventarlo sempre più: big get bigger.
Ed è soprattutto da questo che bisogna guardarsi: dal fatto che i dati personali siano diventati l’oro immateriale d’oggi, il petrolio di questo secondo decennio del ventunesimo secolo – non a caso si parla di data mining, trivellazione dei dati. In effetti, cosa sono questi giardini chiusi se non dei grandi collettori di profili, di gusti, di preferenze, insomma dei classificatori di persone da vendere alle aziende? Potremmo dire, come sostengono i Wu Ming in un post del loro blog Giap, che, stando su Facebook noi produciamo plusvalore sotto forma di informazioni personali, e in fondo è oppure no questo che fa la ricchezza della compagnia di Mark Zuckerberg?
All’intervento è seguito un vivace dibattito, a cui ha dato inizio Tiziana Terranova che, citando esplicitamente  Deleuze-Guattari e Foucault, ha ricordato che non bisogna essere deterministi, ovvero: pur se si sono creati dei dispositivi di inquadramento, come il profilo, allo stesso tempo resta libera l’iniziativa dell’utente che può individuare delle linee di frattura e di fuga capaci di mettere in crisi questa struttura e aprire la Rete a nuove pratiche di libertà, al di fuori di qualsiasi giardino murato.
Insomma, bisogna andare sempre più verso un uso critico della Rete senza alcuna fede nella sua democraticità immanente – refrain che, anche sulla scorta delle insurrezioni mediorientali, i titoli di giornali ci ripetono da un anno a questa parte, recuperando una convinzione dei primi anni di Internet – visto che i rapporti di forza al suo interno non sono per nulla neutrali.

La conferenza è stata registrata ed è sarà visibile sul sito: http://www.marketingwebtv.it/

 


 

Salvatore Chiarenza

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