Salvatore Zingale: rapporto con l'ambiente, rapporto di interpretazione
Salvatore Zingale: rapporto con l'ambiente, rapporto di interpretazione
“Non c’è azione che noi compiamo che non sia basata su un atto di interpretazione: il nostro rapporto con l’ambiente è fondamentalmente un rapporto di interpretazione”
Professore Zingale, le Giornate di studio che si terranno dal 24 al 26 marzo all'Orientale nella sede di Procida sono dedicate a “Comunicazione e Ambiente”. Su che cosa verte il suo intervento?
“Il mio intervento riguarda un campo progettuale molto specifico e definito che in Italia purtroppo ha poco sviluppo. In genere viene indicato con un termine anglosassone: wayfinding, far trovare la strada. Questo termine compare per la prima volta nel testo di Kevin Lynch del 1960 The Image of the city. Qualcuno, tra l’altro, propone una differenziazione tra wayfinding e wayshowing, il mostrare la strada. Il progetto vero e proprio sarebbe appunto un progetto di wayshowing, di sistemi e artefatti comunicativi il cui scopo è quello di orientare le persone all’interno di spazi e luoghi costruiti, come ad esempio quelli relativi alla città.”
Come considera il rapporto tra la quantità e la qualità delle informazioni che circolano su comunicazione e ambiente?
“Si tratta di un rapporto molto asimmetrico e sbilanciato: la quantità di riferimenti è cospicua e variegata mentre la qualità relativa al modo in cui questa informazione è presentata, che riguarda tutto ciò che concerne l’aspetto grafico, percettivo, visivo, effettuale, è estremamente bassa. In poche parole, ci troviamo in una condizione di inquinamento semiotico.”
Esiste una seria identificabilità della comunicazione ambientale di destra o di sinistra?
“Penso di no, anche se comunque sono portato a pensare che una visione di sinistra dovrebbe essere più attenta agli interessi di base diffusi, mentre una visione di destra è in genere più attenta agli interessi di vertice. Se questa distinzione vale, è chiaro che la progettualità sull’ambiente tende ad appartenere più alle prospettive della sinistra, ma questo non vuol dire che studiosi, amministratori o progettisti di sinistra facciano necessariamente cose migliori rispetto a quelli di destra.”
Una vecchia questione: è lo strumento il messaggio, o è il messaggio lo strumento?
“Vecchia e mai risolvibile questione. McLuhan ha fatto la sua fortuna con questo aforisma che, come tutti gli aforismi, come osservava Karl Krauss, o dice una mezza verità o dice una verità e mezza. In questo caso, «il medium è il messaggio», la mezza verità è che la natura o qualità del messaggio è in stretta dipendenza con il medium attraverso cui viene veicolata; la verità e mezza sta nel fatto che questa riflessione a sua volta richiede un approfondimento sul valore del medium. Secondo me bisogna prendere in considerazione tutti quegli elementi che da un lato sono di contatto, che svolgono cioè una funzione fàtica, finalizzate a mantenere l’attenzione sulla comunicazione, e dall’altro hanno a che fare con dinamiche di comunicazione più complesse che meglio si spiegano attraverso la metafora del gioco. Nella comunicazione, infatti, come nel gioco, abbiamo sempre una situazione dialogica tra due o più persone che si contendono un obiettivo. Ciò che conta sono allora sia gli obiettivi di senso dei due giocatori, sia gli effetti di senso che ognuno dei due intende produrre nei confronti dell’altro. Il medium sta, come dice il termine stesso, nel mezzo. È l’artefatto comunicativo che si fa rappresentante delle intenzioni comunicative, o obiettivi di senso, e che dovrebbe produrre degli effetti di senso: il medium quindi è sì il messaggio, ma nel senso che sta nel bel mezzo di questo gioco. Il messaggio vero e proprio, se vogliamo dirla tutta, sono gli effetti sociali che vengono prodotti. Avere una maggiore o minore conoscenza sull’ambiente o avere un opinione più sbilanciata verso le intenzioni del parlante: questi sono gli effetti, e quindi i significati, della comunicazione.”
Ci sono a suo avviso eco-mode orientate dalla comunicazione di specifici canali massmediali? Ci farebbe un esempio?
“Penso di sì, nel senso che viviamo in un’epoca in cui i messaggi sono molto condizionati dai media e sono altrettanto inquinati da ciò che ho chiamato obiettivi di senso: dal momento in cui la moda capisce che una parte di utenti consumatori è disposta a seguire l’argomento ‘ecologia’, ecco che queste persone diventano target. Il concetto di target è un concetto secondo me tremendo, perché appiattisce molte complessità. Rende le persone pubblico. Il tema dell’ambiente è soggetto a questa intenzione di moda, ascrivibile più al marketing che all’informazione intesa come servizio e volta a far aumentare le conoscenze.”
Esauribilità delle risorse, nuove forme di gestione delle risorse: a che punto si è? Fa un esempio di comunicazione efficace su questo tema da parte di uno specifico canale massmediale?
“Siamo molto indietro. Ma non sono uno specialista del campo, bensì un osservatore esterno e, da osservatore esterno, penso che viviamo ancora in un’epoca in cui l’idea di consumo è troppo forte. Ha valore solo ciò che è consumabile.”
Cosa pensa delle cosiddette energie alternative? Ci sono casi esemplari di comunicazione sulla questione?
“Sono assolutamente a favore delle energie alternative perché, sebbene siano meno sfruttabili di altre, hanno il grande pregio di essere inesauribili, proprio come l’intelligenza umana. Forse prima di rivolgere la nostra attenzione alla materia prima, da sfruttare e consumare, dobbiamo focalizzarci su ciò che è inesauribile: la capacità umana di produrre tecnica che sfrutta a dovere gli elementi inesauribili che si presentano nel nostro pianeta. Penso che il dibattito intorno all’energia sia ancora molto condizionato dall’essere un motivo di controversia: è proprio questo l’aspetto da mettere in evidenza. E le controversie, nella comunicazione di massa, più che informazione producono argomentazioni capziose.”
Nucleare: sì o no?
“Assolutamente no. Perché il nucleare è esauribile e non garantisce una sicurezza assoluta. In questi giorni ho letto su un forum di nuclearisti che anche le automobili producono incidenti e che non per questo devono essere eliminate. Si tratta di un falso argomento, perché l’incidente automobilistico è un incidente circoscritto a una specifica situazione. L’incidente nucleare ha invece un effetto molto più vasto nello spazio e nel tempo e ha conseguenze non del tutto calcolabili. Finché non ci sarà un nucleare con rischio pari a zero questo tipo di energia deve essere lasciata da parte. Un altro argomento contro è che l’uranio è esauribile e fra cento o più anni l’umanità sarà comunque punto e capo. Se diamo fondo a tutto ciò che disponibile, non rimarrà più nulla. Certo, tra duecento anni noi non ci saremo, ma essere progettuali, e quindi intelligenti, significa proprio preparare il futuro.”
Come è rappresentato in Italia sul piano della comunicazione il quadro europeo delle reali emergenze ambientali ?
“Penso che la via maestra sia sempre quella delle comunicazioni di massa, l’informazione attraverso i giornali, televisione, radio, web. Ma quello che manca, e parlo sempre da utente e non da esperto, mi sembra sia una classe di giornalisti esperti e preparati. Forse l’anello debole in questa catena non è tanto il medium quanto il ruolo del mediatore, del giornalista, del divulgatore scientifico: spesso si tratta di persone che non sono all’altezza del compito che hanno e cioè far capire.”
Politiche ambientali, finanza, economia. Sponsorizzazioni, preorientamento della percezione positiva del marchio. Ingenti investimenti di tipo comunicazionale spingono a consumare risorse primarie, oltre quelle effimere. Un esempio che caratterizza l’Italia: le acque minerali. Cosa dice a questo proposito? E avrebbe qualche altro esempio da suggerire?
“Io da qualche tempo non compro più l’acqua minerale imbottigliata e mi arrangio benissimo con i filtri. Che tuttavia non sono la soluzione ottimale. La soluzione ottimale sarebbe quella di bere acqua dal rubinetto e non penso sia un obiettivo difficile da raggiungere: bisogna studiarci su, ma i nostri amministratori sono pigri e la ricerca in Italia è quella che è. Sulle acque minerali dico che è uno dei massimi esempi di assurdità della nostra specie: è come se pensassimo tra un po’ di avere l’aria imbottigliata.”
Un’azione massmediale per salvare il Pianeta…
“Direi che l’azione massmediale più efficace per salvare il pianeta è quella di lavorare sui decisori, chi assume le decisioni. Questa è forse la cosa più difficile, perché bisogna capire attraverso quali criteri le decisioni che riguardano tutti vengono prese. Se abbiamo dei mediatori politici che hanno ben chiaro il problema e lo capiscono, possiamo avere qualche speranza; finché non abbiamo questi decisori che comprendono la situazione le speranze sono poche. Bisognerebbe formare gli eleggibili più che gli elettori.”
Professore Zingale, lei fa parte della redazione di Ocula, una rivista di semiotica online. Che cose si intende per "occhio semiotico sui media"?
“Occhio semiotico sui media significa avere occhio clinico, nel senso che il semiotico dovrebbe avere la capacità di vedere strategie di comunicazione laddove gli altri vedono semplicemente discorsi. Capire quali sono le strategie di comunicazione dei media è qualcosa a cui chiunque può arrivare, ma il semiotico dovrebbe avere l’occhio allentato per comprenderle subito e saperle situare sullo sfondo della cultura sociale.”
Lei è attualmente docente di Semiotica del progetto presso la Facoltà di Design del Politecnico di Milano. Che valore comunicativo ha il design nella società contemporanea?
“Comunque si intenda il termine design, la sua responsabilità comunicativa è molto alta. Sia che si intenda il design come una sorta di retorica, un modo per rendere più affascinati i prodotti della produzione industriale, sia che lo si intenda nel suo senso più originario – l’agire secondo uno scopo, un fine e un metodo progettuale –, il design ha una forte responsabilità. È infatti attraverso il design che si dà forma ed efficienza al mondo degli artefatti e alle conseguenze di questi sulla vita sociale. Conseguenze sia pratiche sia culturali. Tutti gli artefatti sono infatti, in un modo o nell’altro, veicoli di senso e di comunicazione.”
Qual è la relazione che intercorre tra semiotica, ambiente e comunicazione?
“Intercorre una relazione molto stretta se intendiamo la semiotica non solo come una generalizzazione della linguistica, ma soprattutto come problema filosofico, come indicato da Locke e soprattutto da Peirce. Il nostro rapporto con l’ambiente è sostanzialmente un rapporto semiosico, un rapporto di continua interpretazione dell’oggettualità con cui abbiamo a che fare. Non c’è azione che noi compiamo che non sia basata su un atto di interpretazione: il nostro rapporto con l’ambiente è fondamentalmente un rapporto di interpretazione. Noi non possiamo non interpretare.”
In che modo crede si possa intervenire sui media al fine di invertire il flusso di informazioni che propone modelli di consumo sregolati e dannosi?
“Secondo me si può intervenire proprio attraverso il design. C’è una stretta correlazione tra semiotica e design, e tra etica della comunicazione e design. Si può intervenire attraverso il design perché è l’unico ambito in cui è possibile concepire gli oggetti o artefatti d’uso come impliciti messaggeri, come portatori di valori che non siano solo i valori del consumo. Faccio un esempio che traggo da alcuni miei colleghi che si occupano di packaging. Il packaging è uno dei campi nevralgici del rapporto tra comunicazione e ambiente: quando ad esempio parliamo di smaltimento di rifiuti parliamo essenzialmente di smaltimento di imballaggi. Quindi, il packaging potrebbe essere ripensato in termini di minore spreco di carta e materie prime, come un minore ricorso a materie plastiche, ma soprattutto come un veicolo di informazione sull’uso consapevole dei prodotti, cosa che invece avviene sporadicamente. Anche l’imballaggio di un detersivo potrebbe essere un ottimo veicolo non solo per istruire come si apre il pacco, come si conserva il flacone e come si usa il prodotto, ma anche su quali sono o dovrebbero essere i comportamenti ecologicamente consapevoli nell’uso di quel prodotto.”
Prendiamo in considerazione due parole chiave delle Giornate di studio che si sono svolte finora all'Orientale nell'ambito del ciclo dedicato a Comunicazione e ambiente: decolonizzare l’immaginario e diseconomizzare le menti; come crede che ciò possa avvenire?
“Decolonizzare l’immaginario… bisognerebbe anche ecologizzare l’immaginario, renderlo meno ingombro. Il nostro immaginario è un po’ come il nostro inconscio, è un magazzino in cui si vanno a deporre molte cose che potrebbero essere utili ma che poi non si rivelano tali e tuttavia restano lì per sempre. Il nostro immaginario è poi spesso popolato da falsi miti, è pieno di luoghi comuni, è pigro, perché si fissa su delle convinzioni e non si prende la briga di verificare se esse abbiano ancora validità. D’altra parte il termine decolonizzare ha a che fare con colonizzazione e ciò vuol dire il nostro immaginario è anche occupato e ingombrato da contenuti che vengono da culture che non ci appartengono, che sono lì perché ci affascinano ma che non vengono analizzati criticamente: non capirò mai perché dobbiamo festeggiare Halloween quando abbiamo il Carnevale. Diseconomizzare le menti, invece, se significa che le menti non debbano pensare all’economia, non mi sta bene. L’economia è un fattore fondamentale, anche in chiave ecologica, perché aiuta a gestire le nostre risorse. Come l’ecologia è la cura dell’oikos, la nostra casa. Ma se per economia si intende l’ossessivo attaccamento al profitto, la concezione del denaro come valore finalistico delle nostre azioni, allora la diseconomizzazione delle menti mi sta molto bene.”
Che valore ha l’immagine, intesa come immagine fotografica in questo flusso di modelli di consumo sregolati?
“Ritorniamo al discorso sul design. In particolare al design delle informazioni visuali attraverso la tecnologia. Fotografia è innanzitutto immagine che produciamo in strettissima relazione con la tanto vituperata realtà, che però è sempre lì davanti a noi: è il modo di produzione di immagini più indicale, più a contatto con le cose e quindi tendenzialmente il meno mediato da convenzioni. Se qualcosa è fotografato allora è esistito, è reale. Oggi la fotografia attraverso gli smartphone può anche essere localizzata, oltre che temporalizzata. È strumento di narrazione. Veloce quasi quanto la parola. Se durante una vacanza scatto fotografie ho la memoria spazio-temporale del mio percorso, del mio viaggio. È quindi uno strumento strettamente collegato all’ambiente nel quale siamo immersi. Ma la fotografia è un campo molto scivoloso, proprio perché è uno strumento che produce immagini con un alto valore di documentazione. Infatti, si fa facilmente discorso, può essere installata all’interno di una testualità che non è più quella del rapporto diretto con l’ambiente, con la realtà, con l’esperienza. Diventa facilmente argomentazione che segue altri fini, altri obiettivi di senso. Si tratta quindi di uno splendido strumento che, proprio perché dice il massimo della verità, può essere usato anche per mentire in modo efficacemente fuorviante. Ecco perché il design della comunicazione ha responsabilità sociale.”
Davide Aliberti
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