Scultori e pittori tra l'Italia e la Spagna: intervista a Riccardo Naldi
Scultori e pittori tra l'Italia e la Spagna: intervista a Riccardo Naldi
Inaugurata la mostra “Norma e capriccio: spagnoli in Italia all'esordio della maniera moderna”: ne parla Riccardo Naldi, membro del comitato scientifico promotore dell'evento
Il 4 marzo, presso la Galleria degli Uffizi, è stata inaugurata la 13a edizione del programma “Firenze - un anno ad arte” con la mostra “Norma e capriccio: spagnoli in Italia all’esordio della maniera moderna” che resterà aperta fino al 26 maggio. Ci parli dell’iniziativa e dei suoi contenuti.
Si tratta di una mostra molto importante, anche se non chiama immediatamente in causa nomi di prima grandezza della storia dell’arte italiana e, devo ammettere, anche coraggiosamente, perché si poteva giocare su nomi civetta, quali quelli di Michelangelo, Raffaello, Leonardo. Questi sono artisti che vengono evocati nella mostra, ma non ne sono i protagonisti. I protagonisti, infatti, sono alcuni spagnoli che hanno lavorato in Italia agli inizi del Cinquecento e che – accanto agli italiani e in alcuni casi anche prima – si sono sintonizzati sulle straordinarie novità artistiche della fase avanzata del Rinascimento, un periodo definito in vari modi: Rinascimento alto, maturo, pieno o, se vogliamo usare la definizione di Vasari che è nel titolo della mostra, maniera moderna. Vasari, che scrive la prima edizione della sua opera storica nel 1550 (Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri; NdR), definisce così la terza e ultima fase dello svolgimento dell’arte italiana fino al Cinquecento. Una fase di compimento, inaugurata dai tre grandi artisti già citati, Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Accanto a loro si muove tutto un gruppo di artisti che possiamo anche chiamare, per brevità, manieristi, a cui si aggiunge il contributo molto importante degli spagnoli. Lo stesso Michelangelo, infatti, affermava che, oltre agli italiani, gli unici capaci di stare dietro a queste nuove spinte, in Europa, erano appunto gli spagnoli. E l’esposizione si occupa di questa tematica e di questo particolare momento artistico.
Ci parli di questo gruppo di artisti spagnoli e del legame con l’arte italiana.
Il protagonista centrale della mostra è Alonso Berruguete, artista castigliano che è stato in contatto con Michelangelo ed è ricordato nelle sue lettere: uno dei primi a poter vedere il cartone della Battaglia di Cascina, tenuto sotto chiave dallo stesso Buonarroti. Berruguete si è mosso in Italia tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento e ha lasciato delle opere di grande importanza, sia pittoriche, sia scultoree. Un artista con una tradizione storiografica abbastanza consolidata, di cui si è occupato anche un grande storico dell’arte italiana, Roberto Longhi, in un saggio (Comprimarj spagnoli della maniera italiana, in “Paragone”, 1953; ora in Arte italiana e arte tedesca con altre congiunture fra Italia ed Europa, 1939-1969, Firenze, Sansoni, 1979; NdR) in cui si dà risalto al valore e alla qualità di questa figura, arrivando ad affermare che abbia anticipato artisti italiani quali Pontormo e Rosso Fiorentino, recependo le novità di Michelangelo e di Raffaello anche prima degli stessi manieristi fiorentini. Davvero un grande protagonista.
Intorno a questa personalità, che è quella cardine della mostra, ce ne sono delle altre come il pittore Pedro Machuca, che è più vicino all’ambito di Raffaello e probabilmente collaborò con lui. Un artista che, quasi certamente, aveva inviato delle opere a Napoli, una, in particolare, che si trova al Museo del Prado, una Madonna delle Grazie, tipico soggetto della iconografia religiosa napoletana, ora presente agli Uffizi. Un artista che interpreta lo stile di Raffaello in chiave un po’ bizzarra ed eccentrica: una delle cifre che contraddistingue questi artisti e che li rende così affascinanti, perché capaci di distaccarsi dai canoni del classicismo per mettere in risalto aspetti di irregolarità e di deformazione. L’altra cifra, invece, è un grado di qualità veramente altissimo, che li rende protagonisti della maniera moderna in Italia ma, possiamo dire, anche in Europa. Infatti, bisogna ricordare che questi spagnoli arrivano in Italia agli inizi del Cinquecento attraverso canali che sono ancora misteriosi – al seguito di committenti importanti, alla ricerca di commissioni o anche per confrontarsi con i grande artisti – e restano qui, grosso modo, a cavallo tra primo e secondo decennio del secolo. Una volta tornati in Spagna, infine, diventeranno protagonisti della diffusione della maniera moderna e alcuni di loro, ad esempio, andranno al servizio di Carlo V e quindi lavoreranno ai massimi livelli della committenza, contribuendo a diffondere questo stile in Spagna e in Europa.
Un ponte tra Firenze, Roma e la Spagna. Napoli, che ruolo ha in questo momento artistico e, di conseguenza, nella mostra?
Questa domanda mi fa piacere, perché mi permette di collegare il discorso sull’arte ad un discorso più ampio, di politica culturale, che considero fondamentale. Nella mostra, infatti, c’è un ampio spazio dedicato ad altri spagnoli che hanno lavorato a Napoli: due scultori provenienti da Burgos, Bartolomé Ordóñez e Diego de Silóe, che hanno probabilmente avuto una formazione tra Firenze e Roma, ma le cui opere si conservano a Napoli. Ai fini di una politica culturale, bisogna rilevare che a Napoli, purtroppo, la conoscenza di questi artisti, che elaborano in modo molto originale lo stile di Donatello, di Michelangelo, di Raffaello, è praticamente nulla, e questo si riverbera su uno stato di conservazione delle opere in alcuni casi disastroso. In particolare, penso ad un monumento di Bartolomé Ordóñez: la tomba di Andrea Bonifacio custodita nella chiesa dei Santi Severino e Sossio, ritenuta concordemente negli studi un capolavoro della scultura non solo italiana, ma europea del primo Cinquecento, che cade a pezzi. Non in senso metaforico, ma letterale. Ciò che è singolare è che siamo poco attenti alla tutela di queste opere che poi vanno a fare bella la Galleria degli Uffizi, e non a caso nella mostra ben tre sale sono dedicate ad opere conservate a Napoli e Salerno. Da un lato, quindi, c'è la contentezza e l’orgoglio per il valore delle opere, ma c’è anche rammarico perché questo genere di mostre si fanno a Firenze e non anche a Napoli. Perché un evento di questo genere non può diventare un’occasione per tutelare, conservare, restaurare? Questa è stata anche la ragione per cui mi sono impegnato nell’iniziativa: speravo e spero che la visione di queste opere in un contesto così importante e sotto gli occhi di tanto pubblico possa fungere da stimolo per richiamare anche l’attenzione di chi ha in carico la tutela di questi materiali, affinché si impegni in un’opera di restauro. Una delle ultime volte in cui vidi la tomba Bonifacio, essa fungeva da appoggio per il banchetto di una prima comunione. Un paradosso! I capolavori della scultura europea che consentono agli Uffizi di fare una grande mostra, a Napoli vengono usati come tavoli delle prime comunioni! Ecco...
Cosa può dire delle opere d’arte giunte dalla Spagna?
Un elemento significativo della mostra – una novità in questo genere di esposizioni – è che sono giunte agli Uffizi un numero consistente di opere che questi artisti hanno realizzato una volta tornati in Spagna. In sintesi, abbiamo non solo raccolto la maggior parte delle opere che sono sul territorio italiano, ma le possiamo vedere a confronto con quelle che questi artisti hanno eseguito in Spagna. In questo modo si è ottenuto un panorama molto completo, che, inoltre, include anche opere di italiani affascinati dalla maniera tanto originale degli spagnoli. E Napoli, ancora una volta, è rappresentata in grande stile. Infatti, oltre alle opere di Ordóñez e de Silóe, sono anche esposte quelle di altri artisti, come Girolamo Santacroce, presente nella mostra con due statue che lo confermano come uno dei più grandi scultori del Cinquecento italiano. E, ancora, Pedro Fernández – le cui opere sono, per fortuna, ben conservate nel Museo di Capodimonte e in altri luoghi –, un pittore di formazione lombarda, girovago tra Milano, Napoli e la Spagna, il cui stile è particolarissimo, grazie ad un uso della caricatura che evoca Leonardo e un uso dei colori quasi surreale.
Per concludere, che ruolo ha l'Università in questo quadro artistico e culturale?
Sebbene non sia solitamente riconosciuto come una delle “specificità” dell'Orientale, il settore storico-artistico è impegnato, da decenni, in diverse collaborazioni con la città di Napoli e, in particolare, con la Soprintendenza, e tutte le annotazioni, anche critiche, sulla tutela, sono fatte con uno spirito costruttivo. La collaborazione tra i diversi enti, infatti, è alla base di qualsiasi processo di conservazione del patrimonio artistico e le concause della mancata tutela sono varie e complesse. Ognuno dovrebbe fare la propria parte, gli studiosi, la Soprintendenza, gli sponsor privati, lo stesso ente ecclesiastico, che in molti casi dimostra tanta sensibilità; sarebbe necessario lavorare insieme per sbloccare le situazioni paradossali che talvolta si vengono a creare. L'Università, in questo senso, deve contribuire con la diffusione del sapere, deve essere uno stimolo per la conoscenza anche delle personalità ritenute “minori”, per far notare come, accanto a quelle dei grandi artisti, ci sono le tante opere che, soltanto perché non attraggono l’attenzione dei media o del turismo di massa, spesso non vengono tutelate come si deve. Inoltre, per poter contestualizzare i cosiddetti “grandi”, è indispensabile considerare l’ambiente in cui operavano, altrimenti si rischia di idealizzarli come delle specie di semi-divinità calate dall’alto, e renderli feticci, avulsi dalla rete delle loro relazioni storiche, perdendo così la visione d’insieme. Le opere d’arte, infatti, sono legate ad un contesto sociale e culturale di cui sono come il precipitato, che ancora oggi esiste nella nostra vita con la sua materialità. Stiamo parlando di grandi imprese artistiche che avvenivano anche con il supporto dei più raffinati intellettuali del tempo. Ad esempio, penso alla fioritura della produzione scultorea a Napoli, sostenuta dalla riflessione teorica di personalità quali Pontano e Sannazaro, ritenuti dei fondamentali punti di riferimento della cultura dell’epoca. Un nodo assai stretto di saperi, in cui le forme artistiche sono in grado di esprimere efficacemente i contenuti di stampo umanistico e religioso. Siamo al centro della elaborazione culturale e figurativa italiana ed europea tra Quattro e Cinquecento, e Napoli è una capitale riconosciuta di queste vicende. Lo era già a suo tempo, dai contemporanei, lo è attualmente in vari centri italiani ed europei, e mi spiace che proprio qui da noi questa importanza sia meno sentita. Speriamo che la mostra degli Uffizi possa essere un’occasione per riflettere anche su questo.
Azzurra Mancini - Direttore: Alberto Manco
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