Sophie Saffi: deissi spaziale e... graphic novel
Sophie Saffi: deissi spaziale e... graphic novel
La linguista francese interverrà alle Giornate di studio dedicate al Graphic novel con esempii tratti da lavori di Cécile Grenier, Pat Masioni, Claudio Calia, Marco Rizzo, Lelio Bonaccorso.
Professoressa Saffi, Lei sarà ospite delle Giornate di studio dedicate a “Graphic novel e comunicazione” che si terranno all’Orientale dal 3 al 7 maggio. Su cosa verterà il suo intervento?
“Il mio intervento verterà sulla deissi spaziale. L’obiettivo è quello di paragonare l’impiego dei dimostrativi e degli avverbi di luogo afferenti ai dimostrativi nel francese standard nel graphic novel Rwanda 1994, testo di Cécile Grenier e Ralph, disegno di Pat Masioni, nell’italiano del Veneto in Porto Marghera di Claudio Calia (che è nato a Treviso e vive a Padova), e nell’italiano della Sicilia in Peppino Impastato, testo di Marco Rizzo (che è nato a Trapani e vive a Torino), disegno di Lelio Bonaccorso.”
Lei appartiene alla scuola linguistica psicosistematica, prestigiosa e rispettata in àmbito linguistico internazionale. Come cambia la rappresentazione spaziale da una lingua all’altra?
“L’italiano contemporaneo oppone due spazi: un primo spazio, luogo dell’interlocuzione in cui si situano gli attori del dialogo, le prime due persone (io e tu), spazio al quale viene associata la coppia avverbiale qui/qua; e un secondo spazio, spazio fuori dall’interlocuzione, in cui si situa la terza persona, oggetto del discorso che scambiano gli interlocutori, e al quale si associa la coppia lì/là. I due spazi sono precisamente delimitati. L’interlocuzione viene associata ad uno spazio di vicinanza la cui frontiera è resa concreta dall’interlocutore, al di là di questo limite si apre lo spazio lontano fuori dall’interlocuzione. Nella sfera interlocutoria della coppia dialogica che il locutore sintetizza nella sua persona, ogni oggetto e persona è supposto essere in relazione intima con il locutore, questa sfera di vicinanza è lo spazio priviligiato di rapporti di fusione. La sfera estesa della persona in italiano comporta conseguenze semiologiche. In questa lingua si può notare una preferenza per la relazione di fusione con il luogo, tramite l’uso della preposizione in associata ad una simbiosi (in cucina, in ufficio). Invece, in francese, lingua nella quale la sfera della persona si riduce ai soli limiti del corpo, si può notare una preferenza per la relazione esterna con il luogo, tramite la preposizione à associata a un movimemto prospettivo fino a un punto limite, e la preposizione dans associata a un movimento di introduzione in uno spazio delimitato (à la cuisine, dans la cuisine, au bureau). Storicamente, si sviluppa un’evoluzione della concezione della persona e del suo spazio, che vede prima, dal latino al romanzo, la riduzione delle varietà di spazi concepibili in funzione dello spostamento, e la comparsa del puntamento della persona del locutore. Questo accentramento sulla persona si accompagna a un riciclaggio della concezione dinamica latina del luogo (‘dove sono’ vs. ‘da dove passo’) in una concezione statica romanza (puntuale vs. esteso) tramite l’opposizione vocalica -i/-a. L’evoluzione prosegue nelle lingue romanze e vede la riduzione delle varietà di spazio (vicinanza vs. allontanamento) a vantaggio di un unico spazio generalizzato, e la comparsa in francese dopo la riduzione della sfera personale di fusione al corpo di una generalizzazione dei rapporti esterni. I testi italiani nella varietà del veneto e del siciliano che ho selezionato illustrano le tappe intermedie di questa evoluzione. La varietà settentrionale è più vicina alla situazione francese, presenta una generalizzazione in corso dello spazio vicino al locutore (qui 86% vs. là 14%). Ma il francese è andato oltre: ha quasi eliminato il criterio spaziale da suo dimostrativo, criterio che compare solo in sandhi, e ha generalizzato la concezione statica dello spazio (puntuale vs. esteso) poiché l’avverbio là dello spazio esteso copre interamente il campo dalla vicinanza alla lontananza (fr. Il est là! = it. È qua!) e che l’avverbio ici dello spazio puntuale rappresenta solo uno spazio definito dal locutore. La varietà meridionale è più conservatrice e presenta un sistema molto equilibrato e maggiormente vario (qui 26% vs. qua 26% vs. lì 13% vs. là 35%).”
La costruzione dell'immaginario del lettore è “guidata” nel fumetto dalle immagini (anche sonore) che fanno da contesto alla scena. In questo senso, rispetto ad un romanzo o racconto scritto “tradizionale”, nella trasposizione da una lingua ad un altra c'è una parte del racconto (una parte fondamentale) che resta immutata. Rispetto all'immediatezza delle immagini, quanto contano le parole nel fumetto?
“La sua domanda è tipica dello specchio deformante della nostra cultura scritta. Così come nel contesto di comunicazione che condividiamo quotidianamente, quello della lingua parlata, nel fumetto il discorso, rappresentato dalle nuvolette, viene contestualizzato dal disegno. Nei testi che inquadrano i tre graphic novels oggetti del mio studio, si ritrova lo stesso interrogarsi su come riportare la storia. Come raccontarla? Come dirla? Un interrogarsi che rivela una lingua scritta, distinta dalla lingua parlata e dalle sue costruzioni «spontanee» o piuttosto «costruzioni in tempo reale», in questo caso si tratta di una lingua d’autore, di una creazione la cui costruzione integra un tempo di riflessione, un diritto alla rettifica prima della consegna al lettore. Una lingua d’autore che « impone tuttavia una - per citare Gianfranco Bettin a proposito della scrittura di Claudio Calia – la tensione formale che rende vive le tavole di Calia sembra nascere da questa dialettica radicale tra esigenza di dire, di esprimere, e volontà, cioè scelta estetica ed etica insieme, di non banalizzare la forma dell’espressione. » Sono interessata da questa rivendicazione di una riflessione d’autore sulla sua scrittura, da una non spontaneità, per cogliere questa lingua e studiarne la rappresentazione dello spazio e della persona che comparirà al di là della riflessione dello scrittore in una espressione soggiacente al discorso consapevole e che è rappresentativa delle strutture profonde del sistema della lingua, strutture caratteristiche di una concezione dell’universo specifica ad ogni lingua e cultura.”
Quali sono le strategie traduttive adottate in questo senso nella traduzione del graphic novel?
“Le strategie traduttive adottate in questo caso si collocano a metà strada tra quelle della traduzione letteraria e quelle adottate nell’interpretariato, tenendo conto nel secondo caso dell’importanza della gestualità. Nel caso specifico della traduzione dal francese del fumetto Rwanda 1994, le ambiguità incontrate durante il lavoro sono state risolte grazie alla visione del disegno che ne ha facilitato la comprensione.”
Cosa dice, a questo proposito, dell’arbitrarietà del segno?
“Come in ogni trasposizione da un sistema di valori ad un altro (passaggio dal bianco e nero al colore, dal 2D al 3D, ecc.) e quindi nel passaggio da una lingua all’altra, più la conoscenza dei due sistemi è sottile, migliori sono le condizioni della trasposizioni. A mio parere, l’arbitrarietà del segno è la migliore spiegazione proposta finora per colmare la nostra non-comprensione della motivazione del segno. Gli studi a questo proposito porteranno ad una migliore comprensione delle strutture profonde della lingua, delle nostre strategie di acquisizione del linguqggio e delle evoluzioni delle lingue.”
Quale ruolo ha o può avere il fumetto nella mediazione interculturale, proprio considerando la sua vasta circolazione?
“Un ruolo importante perché questo genere letterario è eterogeneo, costituito dalla combinazione di due vettori di informazione, lo scritto e il disegno, che moltiplicano le vie d’accesso alla cultura dell’autore. Infatti la ridondanza e la complementarietà delle nuvolette e dei disegni facilitano la comprensione e offrono possibilità di verifica (la postura di un personaggio conferma il contenuto della nuvoletta: se conosco la lingua per deduzione imparo il linguaggio corporeo e viceversa).”
Quali sono invece le maggiori difficoltà che si riscontrano nella traduzione del graphic novel?
“La difficoltà maggiore è stata riuscire a rendere gli effetti del registro colloquiale e familiare nell’altra lingua, soprattutto per quanto riguarda le espressioni gergali, dialettali e regionali, a dimostrazione di una scarsa corrispondenza tra la lingua italiana e francese.”
Come è possibile, ad esempio, rendere le onomatopee, tratto tipico del graphic novel, da una lingua ad un’altra?
“Nella storia del fumetto la maggior parte delle onomatopee non sono state tradotte essendo parte integrante del disegno. Di conseguenza, i lettori del fumetto hanno sviluppato una comprensione «internazionale» delle onomatopee (soprattutto inglese e francese). Ma è comunque possibile tradurre le onomatopee, visto che queste appartengono, esattamente come qualunque altro termine, alla convenzione condivisa che forma una lingua (fr. coq/it. gallo, fr. cocorico/it. chicchirichì). Ogni volta che il locutore nomina un oggetto, lo definisce con gli strumenti propri alla sua lingua e così facendo lo classifica in una gerarchia analitica del mondo propria alla sua cultura. Imparando la sua lingua, il locutore ha assimilato una convenzione di analisi, scelte ben precise per quanto riguarda il metodo di osservazione e di valutazione del mondo che lo circonda. Le onomatopee e le interiezioni sono una tappa: il locutore pensa di imitare mentre passa già attraverso il filtro fonologico della sua lingua.”
E per quanto riguarda la prosodia quali tecniche possono essere utili, secondo lei, nella trasposizione dal linguaggio parlato a quello scritto?
“I segni diacritici, la punteggiatura, in breve quello che utilizzano gli autori del romanzo non grafico. Evidentemente la graphic novel possiede un’arma supplementare: il disegno che contestualizza il discorso. Le espressioni mimiche e gestuali rese dal lavoro del disegnatore, rappresentano un’importante fonte di informazioni per il lettore che combina questa diversità cognitiva come nel linguaggio parlato.”
Dove nasce la sua passione per la lingua italiana?
“È una passione che mi è stata trasmessa da mia madre. I racconti materni sul suo viaggio «di iniziazione» in Italia a soli 18 anni hanno accompagnato la mia infanzia. Mia madre mi raccontava di questo popolo innamorato della cultura, dell’arte, della letteratura. Potrei riprendere a questo proposito la frase di Benigni che ha recentemente affermato che «L’Italia è l’unico paese al mondo dove è nata prima la cultura e poi la nazione». Inoltre, l’italiano è uno dei rari casi in cui la lingua nazionale non è eredità del potere politico ma eredità del potere intellettuale.”
Uno dei suoi ambiti di ricerca riguarda i sistemi fonologici francese e italiano: quali sono le differenze più rilevanti che si possono riscontare comparando queste due lingue?
“Mi permetta di mettere in prospettiva questa comparazione a partire dalla lingua madre. Sul piano fonologico, il latino classico è caratterizzato da un sistema vocalico doppio composto da 5 vocali brevi e 5 lunghe. Ma nel tardo latino la differenza di apertura avrà il sopravvento sulla differenza di quantità. Il locutore italiano ha conservato una sottile consapevolezza del peso di ogni elemento consonantico o vocalico che interviene nella sillaba poiché le affricate, le geminate e i dittonghi sono stati mantenuti. Il locutore francese non solo non dispone più di affricate, geminate e dittonghi, ma ha anche un accento intensivo tanto regolare da avere perso la consapevolezza della gestione prosodica e di conseguenza quella della quantità vocalica che accompagna l’accento. Inoltre, il francese ha anche abbandonato la regolarità sillabica. Ma il sistema fonologico francese presenta una singolare innovazione, le vocali nasali.”
Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?
“Jacques Motte, Jean-Louis Fonteneau, Thierry Duchesne, Super Maxi-star, Les épilepsies de l’enfant, Jacques Motte/Sanofi-Synthelabo, 1995, 32 p.
Attraverso la storia di fantascienza e le avventure di un ragazzino epilettico che incontra il suo eroe televisivo, che gli rivela che anche lui è stato epilettico durante l’infanzia, questo fumetto ha un doppio obiettivo: descrive e spiega come e perché le crisi epilettiche possono avvenire e, nello stesso tempo, sdrammatizza una malattia con la quale è possibile convivere serenamente. A mio parere, questo è un esempio ben riuscito di comunicazione perché aiuta i bambini ammalati a conservare la stima di se stessi e aiuta anche le loro famiglie a vivere questa situazione non come un tabù su cui tacere ma come un’esperienza da condividere.”
Francesca De Rosa
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