Tavola Rotonda: Mediterraneo in fermento, quali prospettive?
Tavola Rotonda: Mediterraneo in fermento, quali prospettive?
L’incertezza e i dubbi sul futuro secondo gli esperti:
“Viviamo un momento difficile, poiché la storia dell’Europa e dell’Italia è inevitabilmente legata alle vicende dei Paesi del Mediterraneo”
Maria Donzelli ha presentato con queste parole la tavola rotonda dal titolo "Mediterraneo in fermento: quali prospettive?", tenutasi nella sala conferenze di Palazzo Du Mesnil il 6 aprile. “Ciò che sta succedendo ci inquieta e forse ci ha colti impreparati. Tuttavia ritengo che chi studia da anni con scienza e coscienza l’area mediterranea e la sua storia, aveva avvertito l’inevitabilità del cambiamento”, questa l'osservazione della docente dell’Orientale, nell'intonazione della quale si avverte quasi come un monito . Gli ospiti presenti, attraverso interventi brevi e significativi, hanno toccato aspetti diversi della questione. In primis Karim Mezran del Centro Studi Americani di Roma ha sottolineato la spontaneità delle rivolte e la fitta partecipazione dei giovani e dei new-media in lotta contro i vecchi sistemi: “Youtube, Twitter e così via educano e diffondono cultura. Io sono libico d’origine e ho notato che molte persone prima vicine a Gheddafi lo hanno poi abbandonato.” Se l’Italia avesse voluto, avrebbe potuto avere un ruolo diplomatico di maggiore importanza, soffiatogli poi dalla Francia di Sarkozy. E in questo momento, inoltre, vi è anche tanta disinformazione: “Al Jazeera dà notizie false. Tripoli non è stata bombardata, né ci sono fosse comuni: adesso tutto è in fase di stallo”.
Massimo Campanini, docente di Storia Contemporanea dell’Orientale, ha messo in risalto la diversità tra le rivolte: “In Yemen le cause sono tribali e riguardano i clan; in Siria sono di natura etnica; mentre in Marocco e in Giordania la pace è determinata dalla monarchia di legittimità religiosa”. Emerge la convinzione che potrà nascere una vera democrazia in seguito a queste rivolte, ma sarà certamente differente dal modello occidentale. Uno spiraglio di ottimismo è presente anche nelle parole di Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo: “Invito tutti a capire la fertilità di questo momento”. Il richiamo è all’Occidente, che non può tralasciare responsabilità innegabili, come l’aver condizionato la storia dei Paesi del Mediterraneo ora coinvolti in queste rivolte.
La stessa crisi economica dell’Europa e degli Stati Uniti ha avuto pesanti ripercussioni, come ad esempio in Egitto: qui le multinazionali offrivano opportunità lavorative che sono piano piano scomparse negli anni, causando la ribellione dei giovani disoccupati. È inoltre contraddittorio il fatto che proprio la Libia, l’anello debole dell’area, interessi più di tutti gli altri Paesi.
Uno dei momenti più significativi dell’incontro è stato quello in cui Antonino Drago, docente di Strategie della difesa popolare non-violenta presso l’università di Pisa, ha ricordato l’importanza della pace: “Solo la rivoluzione non-violenta è la base di un modello di sviluppo alternativo che possa portare benessere”. Drago ha ricordato il ruolo importante delle donne rivoluzionarie, esaltate in passato da Mahatma Ghandi, poiché non “pensano ad armarsi, ma a ribellarsi pacificamente”.
Infine l’attenzione si è spostata sul tema attuale più discusso, cioè l’immigrazione e i continui sbarchi a Lampedusa. “Bisogna essere in grado di gestirla – afferma Giuseppe Cataldi – e l’unico dato drammatico è l’emergenza in mare”.
Giovanni Pulente
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