Triulzi: "Nostri laureati insegnano a Johannesburg e Cape Town. L'Italia? È già multiculturale"
Triulzi: "Nostri laureati insegnano a Johannesburg e Cape Town. L'Italia? È già multiculturale"
Studi italiani sull'Africa a 50 anni dall'indipendenza
Palazzo del Mediterraneo, 30 settembre – Prende il via alle nove, come da programma, la conferenza nazionale di studi africanistici con i saluti del pro-rettore Elda Morlicchio, e della professoressa Carmela Baffioni, direttrice del Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa e Paesi Arabi. Al professor Triulzi il compito di aprire i lavori con un lungo intervento in cui, dopo la presa d'atto che una partecipazione così ingente di studiosi da tutta Italia (250 circa si sono registrati al convegno) è il segno che si sentiva l'esigenza di momenti come questo, ha fatto il punto sulla situazione degli studi di Africanistica all'Orientale e in Italia in generale, con particolare riferimento alle ricadute della recente riforma universitaria.
"La riforma, infatti" ha chiarito Triulzi "prevede la scomparsa dei piccoli dipartimenti. Quindi noi siamo destinati a scomparire. Insomma, oggi c'incontriamo per salutarci". Ovviamente Triulzi non è affatto pessimista in merito alla questione, ed è convinto che gli studiosi di africanistica sapranno trovare una soluzione ricorrendo magari ad accorpamenti. Resta il fatto che un settore disciplinare di nicchia quale quello di Africanistica dell'Orientale ha formato docenti per le università italiane ed europee e persino africane "ci sono nostri laureati che insegnano a Johannesburg e Cape Town". "In questo istituto" – ha precisato Triulzi – "è stato il dottorato il polmone della formazione di nuovi africanisti. All'Orientale c'è l'unico dottorato precipuamente dedicato all'Africanismo, per cui noi dobbiamo contribuire all'alta formazione di tutt'Italia. Ciò ci fa senz'altro onore, ma è un compito gravoso".
Lo studioso ha poi messo in luce la necessità di aumentare gli scambi con il mondo accademico africano: "da questo punto di vista siamo deficitari, anche se è una mancanza di cui non si può attribuire la colpa né a noi e neppure agli accademici africani che devono fare i conti con ristrettezze economiche più gravose delle nostre".
Ad Anna Maria Gentili, dell'Università degli studi di Bologna, e a Gian Paolo Calchi Novati, da Pavia, sono stati affidati infine gli interventi introduttivi. La Gentili ha commentato positivamente la cospicua presenza di giovani studiosi, molti dei quali hanno presentato autonomamente dei panel (è il caso dei dottori e dottorandi di ricerca torinesi che hanno riflettutto su religione e spiritualità africana). Riprendendo quanto già accennato da Triulzi in merito alla marginalità dell'Africa e dell'africanismo in Italia, la Gentili ha messo in evidenza come tale mai sconfitta marginalità sia stata anche un punto di forza degli studiosi di tale settore disciplinare che hanno dovuto affinare sempre più i propri strumenti metodologici per capire meglio il mondo africano e non solo: "noi africanisti siamo all'avanguardia degli studi sull'etnicità. Quando è scoppiata la crisi nei Balcani avremmo potuto essere d'aiuto". Calchi Novati ha riflettuto su come il colonialismo sia stato un'occasione di incontro e conoscenza tra Europa e Africa: "di tutti i modi di conoscersi – ha commentato il professore – è stato però il peggiore". Questo incontro/scontro l'Italia forse l'ha digerito peggio delle altre potenze ex-coloniali anche perché non ha mai avuto grossi mezzi per risarcire le ex-colonie. Eppure, come gli altri ex-colonizzatori anche l'Italia deve porsi il problema di gestire la pace e l'ordine nelle sue ex-colonie: "c'è , come si dice, una 'responsabilità storica'".
Concetta Carotenuto
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