Walter Ilardi: “Vi racconto un anno di studio all’estero grazie all’Orientale”
Walter Ilardi: “Vi racconto un anno di studio all’estero grazie all’Orientale”
Laureato in Letterature e Lingue Comparate, ha trascorso un anno a Tokyo che ha cambiato la sua vita. In quest’intervista ce ne parla, rivolgendosi in particolare agli studenti in procinto di partire o con questo sogno nel cassetto. Una testimonianza del rapporto stretto tra l'antico Ateneo campano e il Giappone
Dottor Ilardi, che tipo di percorso di studi ha seguito all’Orientale?
“Innanzitutto ringrazio il Web Magazine dell'Orientale per avermi proposto quest’intervista. La mia esperienza all’Orientale inizia nel 2003, quando decido d’iscrivermi al corso di laurea triennale in Letterature e Culture Comparate, intraprendendo gli studi di lingua e cultura giapponese parallelamente a quelli di lingua inglese.
Dopo la laurea triennale, nel 2006, ho subito iniziato il percorso che mi ha portato a ottenere, nel 2009, la laurea magistrale in Letterature e Culture Comparate”.
Perché, alla fine del liceo, ha deciso di iscriversi al nostro Ateneo?
“Ho scelto l’Orientale perché, da sempre, lo studio di culture e lingue ‘esotiche’ esercitava su di me un discreto fascino. Nonostante abbia frequentato il liceo scientifico, e nutra ancora un notevole interesse per la biologia, la chimica e le scienze mediche, al momento della scelta della facoltà decisi di seguire l’istinto. Sono ancora del tutto contento di questa scelta perché ho portato avanti degli studi che, alla fine, mi hanno dato grande soddisfazione e che si sono rivelati molto utili”.
Lei ha trascorso un anno presso la Tokyo University of Foreign Studies. Seguiva un programma speciale per studenti stranieri? Aveva la possibilità di seguire lezioni con studenti giapponesi?
“Grazie agli accordi internazionali di scambio studenti dell’Orientale, ho trascorso un anno presso la Tokyo University of Foreign Studies (TUFS) all’interno del programma ISEP-TUFS. Il programma si rivolge a studenti stranieri che desiderano approfondire la conoscenza della lingua e della cultura giapponese, e prevede la scelta tra due percorsi: Japanese Studiese Intercultural Studies. Naturalmente, oltre che frequentare i corsi di lingua e cultura per stranieri (tenuti quasi sempre in giapponese), prendevo abitualmente parte anche a lezioni, come il corso di lingua ebraica moderna, in cui io ero di fatto l’unico studente non-giapponese”.
Ci descrive una giornata tipo del periodo trascorso a Tokyo?
“La sveglia suonava abbastanza presto, intorno alle 7:30. Alle 9:00 bisognava essere tutti in classe per le lezioni che, talvolta, terminavano alle 18:00. Ricordo che c’era un break di un’ora e mezza, dalle 12 alle 13:30, durante il quale ci si riuniva tutti in mensa per mangiare e scambiare due chiacchiere sugli eventi della giornata. Ogni studente straniero aveva poi uno proprio tutor giapponese di riferimento con il quale bisognava incontrarsi durante la settimana. Oltre che seguire i corsi, mi capitava di collaborare con il Dipartimento di Italianistica, assistendo il docente di ruolo durante alcune lezioni di lingua italiana.
Nei week-end, a meno che non si dovesse studiare per gli esami o scrivere delle relazioni, si svolgeva qualche lavoretto part-time e, ovviamente, ci si andava a divertire al karaoke, a mangiare sushio a fare delle gite a Kamakura, Nikkō o in qualche storico quartiere di Tokyo”.
Quali sono le differenze che ha notato tra le Università giapponesi ed i nostri Atenei?
“Le differenze maggiori le ho riscontrate nelle modalità di organizzazione delle attività didattiche. Per esempio, il fatto di avere delle verifiche settimanali mi aiutava molto nello studiare con costanza. Ampio spazio era poi dato alle esercitazioni pratiche: dibattiti, lavori di gruppo e presentazioni erano all’ordine del giorno.
Un’altra differenza che mi ha colpito è stata la strutturazione dei corsi: oltre il corso generale di lingua, ogni studente poteva infatti decidere di migliorare aspetti specifici della competenza linguistica con lezioni mirate, per esempio, alla conversazione, alla lettura, all’ascolto, all’grammatica o all’ uso dei kanji (i caratteri cinesi)”.
Come ha influito l’esperienza in Giappone sulla sua vita successiva?
“Penso che il periodo trascorso in Giappone mi abbia decisamente cambiato. Il fatto di aver vissuto in una società dove vige il massimo rispetto del prossimo, l’abitudine all’organizzazione e la continua propensione all’efficienza, per riflesso, mi hanno reso una persona più cortese e paziente, ma anche più pignola. In più, l’essere entrato in contatto con culture e modi di vivere totalmente diversi, mi ha permesso di avere una mente più aperta ai cambiamenti e di guadagnare uno spirito curioso verso le cose e le persone che, all’apparenza, sembrano così lontane e diverse da me”.
Nella sua tesi specialistica ha trattato della lingua giapponese dei segni. Ce ne potrebbe parlare brevemente? Com’è nato l’interesse per quest’argomento?
“L’interesse per quest’argomento nasce da un’esperienza che potrebbe definirsi estremamente banale: avevo sempre visto gli interpreti di LIS (Lingua Italiana dei Segni) alla televisione e mi chiedevo cosa si nascondesse dietro quei movimenti e quelle espressioni facciali marcate. Mosso da questa curiosità, dopo essermi documentato personalmente sull’argomento, ho scoperto l’esistenza di un corso di Semiotica delle Lingue Segnate presso il nostro Ateneo e l’iniziale stimolo si è così trasformato in un definito interesse di ricerca. Dopo la conclusione del corso, al momento di scrivere la tesi pensai di applicare le conoscenze acquisite al campo degli studi giapponesi, tentando di comprendere quali fossero le relazioni linguistiche e culturali tra il giapponese, inteso come lingua orale e scritta, e lo shuwa(la lingua giapponese dei segni)”.
Ora che tipo di lavoro sta svolgendo?
“Attualmente, svolgo la professione di traduttore freelancee, nei prossimi mesi, inizierò una collaborazione per la realizzazione di un progetto sull’integrazione degli immigrati nei territori dell’hinterland napoletano. Da meno di una settimana, ho poi concluso la fase d’aula di un master in gestione delle risorse umane presso la Business School STOÀdi Ercolano, così che a breve, affronterò dei colloqui di selezione presso realtà aziendali, incluse le multinazionali, dislocate sul territorio nazionale”.
Riguardo all’Università, ci sono scelte o attività che rifarebbe ? Oppure, al contrario, che eviterebbe?
“Rifarei tutto e non mi pento di nessuna delle scelte compiute. Anzi, data la mia passione per i linguaggi umani, forse avrei dovuto frequentare più corsi inerenti alla linguistica in modo da approfondire le varie sfaccettature di questa disciplina scientifica così ricca”.
Cosa consiglia ad uno studente in partenza per un periodo di scambio con Università estere?
“Un consiglio che posso dare è quello di non aver paura della distanza e di mantenere una mente sempre aperta alle novità. Vorrei portare come esempio il mio caso, che è quello che conosco meglio.
Diversamente da altri colleghi, io sono arrivato in Giappone per la prima volta proprio con la borsa di scambio alla TUFS. Non conoscevo direttamente il Paese, avevo solo a disposizione le nozioni apprese nel periodo universitario e sapevo di dover rimanere a Tokyo un anno: credo che si possa facilmente immaginare il mio smarrimento all’inizio di quest’avventura. Tuttavia, grazie allo spirito di adattamento e alla curiosità intellettuale che mi spingeva a tentare di capire cosa avrei potuto trarre da quel periodo, sono riuscito a mantenere la calma, a divertirmi e ad apprezzare ogni singolo aspetto dell’esperienza”.
Un consiglio per vivere al meglio Tokyo e un’esperienza in Giappone.
“Tokyo è splendida, piena di cose da fare o da vedere e, nonostante la sua vastità, è sicura a qualsiasi ora del giorno e della notte. Molte volte nei week-end, prendevo il treno senza una meta prestabilita per il solo piacere di andare in giro a scoprire posti nuovi. A questo proposito, un consiglio che vorrei dare per un viaggio in Giappone è proprio: provare a viaggiare da soli. Spostandosi secondo il proprio ritmo si riescono a gustare meglio le bellezze dei luoghi e della vita del Paese, ci si ferma sempre in posti che interessano e, soprattutto, si riesce a imparare tanto. È proprio quando si è da soli che si è costretti a mettersi in gioco in prima persona e vincere la timidezza per chiedere qualsiasi genere d’informazione”.
Risorse Correlate:
Ufficio Relazioni Internazionali dell’Orientale
http://www.unior.it/index2.php?content_id=197&content_id_start=1
Tokyo University of Foreign Studies
http://www.tufs.ac.jp/english/
Programma ISEP-TUFS
http://www.tufs.ac.jp/english/intlaffairs/exchange_in/program/program01.html
Fabiana Andreani
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