XXXV Convegno della Società Italiana di Glottologia: intervista a Emanuele Banfi

 

XXXV Convegno della Società Italiana di Glottologia: intervista a Emanuele Banfi

Emanuele Banfi (Fonte: www.emanuelebanfi.it)

"I tagli alla ricerca? Una realtà tutta italiana"

Professore Emanuele Banfi, qual è una possibile definizione di linguistica.

“Anche se in passato col termine linguistica si intendeva principalmente lo studio delle lingue in una prospettiva storica – e quindi, il termine coincideva assolutamente con il termine glottologia – oggi la linguistica è una scienza assolutamente articolata e suddivisa in sottosettori: la disciplina copre, infatti, un campo d’indagine complesso che necessariamente e utilmente interagisce non solo con le scienze storico-filologiche ma anche con le scienze più direttamente rivolte a settori altamente formalizzati. Penso all’informatica, alle scienze cognitive, e a quelle aree che permettono di cogliere in vario modo la complessità del fenomeno linguistico e di vederne alcuni aspetti essenziali.
Se da un lato, infatti, la disciplina non può prescindere dalla dimensione storica e sociale – perché qualsiasi lingua storico-naturale è un oggetto sociale calato nella storia e quindi sottoposto al mutamento e alla necessaria trasformazione – dall’altro lato, la lingua è anche un oggetto che è direttamente connesso con le dinamiche di tipo cognitivo e, quindi, bisogna necessariamente tenere conto degli apporti davvero straordinari che vengono da queste aree di studio. Un esempio su tutti, la possibilità addirittura di visualizzare grazie a strumenti davvero sofisticati ciò che avviene a livello cerebrale quando un parlante realizza un qualsiasi segmento fonico-acustico dotato di significato.
La linguistica è, oggi, un settore delle scienze oggi quanto mai aperto a nuovi apporti e contributi e che necessariamente deve rimanere tale.”

Quali letture consiglierebbe a un giovane linguista?

“Se per giovane linguista si intende lo studente appassionato alle scienze del linguaggio, innanzitutto consiglierei di leggere alcuni lavori fondamentali che sono il portato della grande tradizione di studi storico-linguistici italiani.
L’Italia si configura, infatti, come uno dei centri più importanti per le analisi storico-linguistiche – e penso ai grani nomi di Giacomo Devoto, Vittore Pisani, per ricordare due tra i tanti maestri che ci hanno preceduto, assieme al nome di Walter Belardi e di molti altri. Ecco, direi che un linguista che si sia formato in Italia non può non conoscere le opere di questi grandi maestri che hanno potuto dialogare, qualche decennio fa, con i migliori studiosi in ambito internazionale dando un contributo fondamentale alla formazione del quadro linguistico indoeuropeo, in Italia e all’estero.
Gli consiglierei, quindi, di approfondire le tematiche relative al quadro culturale in cui si è sviluppato il dibattito linguistico in Italia e, parallelamente, lo inviterei a leggere alcuni grandi classici della linguistica in ambito internazionale, come il Cours di Ferdinand de Saussure – oggetto di studi attentissimi in Italia, per i quali va citato un nostro grande linguista quale è Tullio De Mauro – e a tenersi aggiornato in merito a ciò che avviene nel contesto internazionale e a ciò di cui si discute maggiormente, e penso al dibattito intorno all’origine della lingua e del linguaggio, e ai lavori di Cavalli-Sforza e della scuola chomskiana ma anche ai contributi della scuola russa.
Insomma, consiglierei a un giovane studente di tenere conto di tutto quello che di significativo è stato fatto a livello nazionale – ed è molto davvero – e di quello che si sta dibattendo in ambito internazionale.”

Che spazio ha la linguistica nella sua Università?

“Io insegno in un Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione Interculturale, corso in cui gli studenti sono obbligati a scegliere per tre o per cinque anni una lingua orientale – in particolare, arabo, cinese e giapponese – e, accanto alla lingua orientale, l’offerta didattica è essenzialmente centrata su discipline storico-linguistiche, etno-linguistiche e antropologiche. La linguistica, quindi, nella sede in cui lavoro che è L’Università di Milano “Bicocca” è tutto sommato in condizioni buone perché vale come disciplina di base che permette agli studenti di cogliere la complessità del quadro linguistico mondiale, in dimensione essenzialmente tipologica, e di approfondire, poi, lo studio a seconda delle diverse aree di specializzazione. Per fare qualche esempio, l’area delle lingue afroasiatiche delle quali fa parte il complesso diasistema dell’arabo, oppure l’ampio diasistema del cinese mandarino, e ancora il rapporto che unisce il giapponese con il mondo coreano e con il cosiddetto grande corridoio uralo-altaico che collega questi due paesi al mondo turgico e turco attraverso l’Asia centrale – e che funge da punto di unione tra questi mondi lontani, collegando l’estremo oriente e al cuore dell’Europa.
In questa prospettiva, la linguistica nell’università in cui insegno riveste un ruolo importante perché offre agli studenti un quadro teoricamente saldo delle relazioni che intercorrono tra i fenomeni e i meccanismi che regolano il funzionamento delle lingue – e che valgono evidentemente come parti, elementi generali – e le situazioni socio-culturali ben determinate.”

Qual è il livello degli studi di linguistica in Italia?

“In Italia direi che abbiamo assistito negli anni ad una crescita assolutamente straordinaria e di altissima qualità nella ricerca linguistica. In primo luogo, nell’ambito della linguistica storica che è il settore delle scienze del linguaggio in cui l’Italia ha primeggiato negli anni passati e in cui ancora oggi è particolarmente ben rappresentata. E, inoltre, in ambito internazionale, grazie a molti giovani colleghi di valore riconosciuto che dialogano con i centri di eccellenza in ambiti diversi quali la psicolinguistica, la linguistica cognitiva, l’etnolinguistica. Direi che non c’è settore delle scienze del linguaggio in cui l’Italia non sia rappresentata in modo più che degno.
Il problema è, semmai, dei giovanissimi. Abbiamo in Italia dei dottorati di ricerca di altissimo livello che sfornano giovani studiosi spesso di qualità indiscussa che incontrano difficoltà a trovare una collocazione all’interno delle università italiane. E questo è un problema enorme che rientra nella questione più generale dello spreco degli investimenti che caratterizza negativamente le politiche accademiche nel nostro paese.”

Che applicazione potrebbe trovare la linguistica e che cosa non si fa per favorirne la migliore conoscenza possibile?

“La linguistica, oggi, è davvero un campo che permette numerose applicazioni anche di tipo pratico: ad esempio, c’è il problema della cosiddetta linguistica educativa che dovrebbe servire – attraverso il rapporto con la scuola e gli insegnanti – a fornire i mezzi e gli strumenti per far crescere le competenze linguistiche delle giovani generazioni; ci sono le applicazioni informatiche e le possibilità d’interazione con i settori dell’editoria; la psicolinguistica e le possibilità offerte in campo medico. Insomma, ci sono molte e varie opportunità ma, di nuovo, quello che rimane problematico è che non sempre al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori c’è la consapevolezza del ruolo e dell’importanza che le scienze del linguaggio potrebbero offrire anche in altri settori, anche non direttamente riconosciuti come settori accademici.”

Che cosa è cambiato nello studio della linguistica da quando lei ha cominciato a fare ricerca?

“Io vengo dalla linguistica storica, dalla glottologia, e da una formazione che vedeva queste due aree come elementi essenziali nella formazione del curriculum di uno studente di Lettere Classiche. Quando ho conseguito la laurea molti anni fa – quaranta, per la precisione – per me e per molti della mia generazione la linguistica era sicuramente rappresentata da queste due aree: la linguistica storica e la glottologia. Invece, in questi ultimi anni, l’apertura che ha caratterizzato le scienze del linguaggio ha obbligato gli studiosi ad entrare in contatto con altre esperienze e altri modi di intendere il fenomeno linguistico e oggi c’è sicuramente maggiore varietà di interessi e di approcci rispetto all’oggetto lingua.”

A suo avviso la linguistica andrebbe insegnata nelle scuole superiori?

“Non credo; penso che, almeno la linguistica come la intendiamo a livello universitario, non possa essere immediatamente insegnata nelle scuole superiori. Potrebbe piuttosto essere fornita agli studenti una sorta di informazione preliminare intorno ai portati ereditati dalle scienze del linguaggio, però penso che la linguistica sia una disciplina essenzialmente finalizzata e destinata ad un segmento della fascia degli studenti in formazione che è di tipo universitario.”

Trova adeguato al quadro internazionale il livello di studio della linguistica in Italia?

“Assolutamente. L’Italia offre realmente un contributo notevolissimo al dibattito linguistico e questa mia affermazione è confortata dal riconoscimento che studiosi sia affermati sia molto giovani hanno ottenuto a livello internazionale”.

Può fare il nome di un linguista italiano di cui ha o ha avuto particolare considerazione?

“Innanzitutto mi piace ricordare quello che è stato il mio maestro, Vittore Pisani, uno dei grandi padri della linguistica storica in Italia, e che ancora oggi ne avrebbe di cose da dire. E per quanto riguarda nomi di colleghi che in questo momento operano in Italia, non posso fare un solo nome. Non avrebbe senso. Mentre dovrei invece ricordare molti autorevoli studiosi e colleghi che lavorano in modo altamente qualificato. Ma, appunto, sono molti. Fortunatamente, sono molti.”

Se la sente di fare il nome di uno studioso che potremmo considerare "giovane", rispetto ai nomi già affermati, e che a suo avviso mostra di avere spessore?

“Ecco, vale un po’ quanto detto rispetto alla domanda precedente. Ce ne sono molti, e nel proporre un solo nome farei sicuramente un torto ai molti altri. Perché tra i giovani – voglio dire la generazione tra i trenta e i quaranta anni – vi sono molte personalità in formazione, o anche in parte ben formate, e alcune anche ben inserite nel quadro universitario, che meriterebbero di esser citate.”

Quale delle cose che ha scritto la rende particolarmente orgoglioso?

“Anche questa è una domanda che mi provoca un po’ in imbarazzo. Tra le cose che ho scritto potrei ricordare un lavoro dedicato alla formazione del quadro linguistico europeo che rappresenta per me un momento importante di sintesi tra quelle che sono le mie competenze più strettamente storico-linguistice e la riflessione su temi di linguistica generale e tipologico-linguistici. È un volume, Le lingue dell’Europa, che ho peraltro scritto assieme a un giovane studioso di grande valore, Nicola Grandi, e penso sia un lavoro del quale posso ritenermi in qualche modo soddisfatto. Con Nicola Grandi abbiamo poi curato un lavoro in due volumi dedicato alla illustrazione in chiave sia storico-linguistica sia tipologico-linguistica delle grandi famiglie del mondo. Un volume è dedicato alle lingue dell’Asia e dell’Africa e un altro volume è dedicato alle lingue delle Americhe, dell’Australia, ai creoli, ai pidgin, ed è un lavoro che ha occupato me e Nicola Grandi per parecchio tempo e che ha visto la collaborazione di giovani studiosi italiani, tutti meritevoli di considerazione.”

Quali sono le domande più frequenti che i suoi studenti le rivolgono?

“Innanzitutto bisogna precisare che ho due tipologie di studenti. Ci sono le matricole, del corso di base, che ovviamente pongono delle domande un po’ ingenue, se vogliamo; ma tendo comunque a valorizzare qualsiasi domanda venga fatta senza sottolinearle l’eventuale ingenuità. Questo perché penso che qualsiasi momento che aiuti lo studente, attraverso la riflessione, a prendere progressivamente coscienza della complessità dei fenomeni linguistici – anche apparentemente di quelli, tra virgolette, più banali – è un grosso passo avanti. Quindi, le domande che mi vengono rivolte intorno a questioni di tipo fonetico, fonologico, morfologico, sintattico, ecc., le ritengo delle spie interessanti che servono a me per capire quanto sono riuscito ad accendere nello studente la capacità di riflettere autonomamente sul fenomeno lingua. Per quanto riguarda il secondo tipo di studenti che frequentano corsi avanzati per la Laurea Specialistica, le domande sono molto puntuali e tecniche, relative a questioni di linguistica indoeuropea e di linguistica cinese.
Insomma, sono sempre dei momenti importanti che permettono di cogliere la bontà del lavoro che si fa in ambito didattico.”

Come vede il futuro della Università pubblica in Italia?

“Nella situazione attuale? Molto, molto male. Stiamo vivendo proprio in questi giorni una situazione molto preoccupante e quello che preoccupa è la mancanza d’investimenti seri nei confronti dell’università. Quando un paese non considera la formazione universitaria – e in generale la formazione scolastica a diversi livelli – come un investimento importante ed essenziale per le generazioni future, quando un paese non ha la capacità di considerare l’istruzione in generale, l’istruzione universitaria in particolare, e la ricerca come elementi assolutamente imprescindibili per lo sviluppo futuro del paese, allora la situazione è davvero preoccupante.”

Spostiamo l’attenzione sulle sue letture: che cosa sta leggendo in questo periodo?

“Come può immaginare, sto leggendo diverse cose. La lettura d’evasione è la nuova edizione di Tokyo Blues di Haruki Murakami, il titolo nuovo del romanzo Norwegian Wood. Un libro molto interessante che permette di capire molto della realtà urbana del Giappone moderno. Una lettura importante non solo per la qualità del testo – dal punto di vista letterario e dal punto di vista della qualità della scrittura di Murakami che è davvero straordinaria – ma anche per tutte le informazioni di carattere socio-antropologico intorno alle grandi realtà urbane che è possibile trovarvi. Invece, rispetto alla sfera professionale, sto leggendo il secondo volume New Perspectives on Historical Latin Syntax curato da due studiosi, Philip Baldi – il nome è italiano ma il collega in questione è da sempre radicato negli Stati Uniti – e poi da un collega di eccezionale valore, italiano, che è Pierluigi Cuzzolin. I due studiosi hanno pubblicato recentemente per De Gruyter- Mouton il secondo volume di una collana dedicata alla storia linguistica della sintassi latina. Un libro davvero affascinante.”

Dopo aver parlato delle sue letture, ci dica che cosa sta scrivendo.

“In questo momento, sto mettendo a punto il testo della relazione che terrò a Napoli proprio tra qualche giorno, in occasione del Convegno SIG e che verte su questioni di etimologia cinese; Etimologie cinesi, alla ricerca della 'filigrana' della parola scritta, questo è il titolo della relazione.

Ci spiega il perché della scelta del termine “filigrana”?

“Il convegno è dedicato all’etimologia e ci saranno molte relazioni incentrate soprattutto su lingue indoeuropee, sul latino, sul greco, ma anche sull’etimologia araba e di altre aree. Fondamentalmente, però, ci si concentrerà su lingue che – dal punto di vista tipologico – possono essere definite come flessivo-fusive. L’arabo in realtà è una lingua introflessiva ma fa sempre parte, diciamo, delle lingue flessive.
Fare etimologia in queste lingue vuol ovviamente compiere un’analisi di tipo storico-linguistico sulla storia delle parole e vuol dire, essenzialmente, indagare intorno al valore semantico e alla funzione che le singole componenti delle parole – i morfi – hanno nella definizione del significato.
Nell’ambiente cinese, invece, laddove è dominante invece il componente sillabico e dove in ogni singola sillaba abita un significato, fare etimologia significa fare i conti oltre che con la dimensione fonico-acustica del segno linguistico con la rappresentazione a livello grafico del segno linguistico stesso. Significa, quindi, non solo configurare la dimensione fonico-acustica – e vederne la consistenza sul piano morfologico – ma, necessariamente, tenere conto anche del modo in cui i singoli elementi che entrano nella catena morfologica – e quindi le sillabe – sono rappresentati nella dimensione scritta grazie alla straordinaria modalità con cui è fissato il sistema linguistico cinese dei caratteri.
I caratteri cinesi sono nella loro essenza dei veri e propri microcosmi che mostrano, infatti, la filigrana della parola attraverso la codificazione scritta e permettono appunto di ricostruire – attraverso lo studio di come un carattere è fatto – il percorso cognitivo che è sotteso alla definizione semantica dei singoli caratteri che coincidono con intere sillabe. Un percorso di estremo fascino. Bisogna ricordare che in una lingua come l’italiano, le sillabe prese isolatamente non hanno alcun significato: se prendiamo una parola italiana, greca, latina, ecc., quello che viene riconosciuto come portatore di significato è la base lessicale o verbale e, poi, viene riconosciuto il significato di elementi aggiuntivi, gli affissi – prefissi, suffissi, infissi – che possono avere normalmente valore derivazionale o grammaticale. Invece, per quanto riguarda il cinese, dato che ogni sillaba ha significato, l’interpretazione di una parola non può partire se non da un’analisi attenta degli elementi sillabici che la costituiscono a differenza invece dell’interpretazione di una parola di una lingua flessiva, fusiva o introflessiva, che prevede l’individuazione immediata degli elementi relativi al corpo morfologico, ai morfi.”

Rispetto al Convegno della settimana prossima, quali sono le aspettative?

“Anche rispetto a quanto detto finora rispetto alla mia relazione, aspetto delle reazioni, e spero che ci siano da parte di chi avrà la pazienza di ascoltarmi perché sono sicuro che dalle domande e dal dibattito che si svolgerà sia nella sede del convegno – e che sicuramente proseguirà anche al di fuori di esso – potranno giungere nuovi stimoli e spunti che mi permetteranno di integrare il testo che preparato con nuove considerazioni e riflessioni.”

Prima di salutarla, un auspicio di Emanuele Banfi per l'Università italiana.

“Che ci diano fondi. Che ci permettano di lavorare seriamente. Che ci diano fondi.
Capiamo che la crisi economica è una crisi internazionale e capiamo però come in molti paesi il rispetto per l’università, per l’istruzione in generale, e per la ricerca sono al centro dell’attenzione, e penso ad esempio alla Germania che è in condizioni non certo più favorevoli delle nostre. La Merkel non taglia sull’università. E questo è un segnale importante. Anche in Germania, così come in Francia e in altre realtà, è arrivata la crisi economica, ma non vengono fatti tagli. Questa dei tagli alla ricerca è una realtà tutta italiana. Speriamo un giorno di avere i fondi, e speriamo che ci permettano di lavorare seriamente.”

Intervista raccolta da Azzurra Mancini - Direttore: Alberto Manco

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