XXXVI Convegno della Società Italiana di Glottologia: intervista con Vincenzo Orioles
XXXVI Convegno della Società Italiana di Glottologia: intervista con Vincenzo Orioles
La riflessione sull'identità linguistica italiana? Utilissima e non solo per ragioni "umanistiche": competitività e competenze partono da qui
Professore Orioles, il XXXVI Convegno della Società Italiana di Glottologia ha per titolo: “150 anni. L’unità linguistica italiana”. Quali sono le ragioni di un simile titolo?
È stata una scelta comune sia da parte del comitato organizzatore del Convegno, la professoressa Bombi e me, sia da parte del direttivo della Società Italiana di Glottologia presieduto dalla collega Stefania Giannini. La scelta ricorda, nel 150mo anniversario dell’Unità dell’Italia, il problema della fisionomia linguistica del Paese. Una fisionomia che ha tratti di originalità persino irripetibili rispetto a Francia, Germania, Inghilterra e altri Paesi europei. Siamo originali per spessore culturale, per la nostra storia linguistica complessiva. A questo proposito devo dire che ‘identità’ è un termine sì abusato ma occorre pur fare un bilancio, e credo che oggigiorno possiamo finalmente dire che l’Italia abbia una identità linguistica definita.”
E tuttavia non tutti la pensano così.
Il fatto è che si tende sempre a caratterizzare l’identità linguistica. Una volta si sente dire che è contaminata da 5 milioni di cittadini migranti, un’altra la si giudica invasa da anglicismi destabilizzanti… Si tratta di posizioni nelle quali non mi riconosco ma che pur richiedono un dibattito. Altrimenti l’impianto sul quale si basano queste espressioni di giudizio resta debole. Si capisce dunque perché è importante che la intera comunità scientifica si riunisca in questi giorni a Udine e dia il suo contribuito.
In effetti tra i non addetti ai lavori resiste a volte la visione della lingua come qualcosa di immutabile.
Sì. Ma interrogarsi sulla forza propria di una lingua di essere non tanto statica e immutabile ma dinamica e mutevole è fondamentale. I costrutti sociali, le lingue, i sistemi di valori si rinegoziano continuamente.
Un non addetto ai lavori potrebbe chiedersi se la fisionomia della lingua italiana venga da un passato troppo remoto per essere circoscritto oppure sia nata nel periodo dell’Unità. Che risposta dare?
Domanda importante che compendia in sé le ragioni del Convegno e che richiede una risposta misurata. Non lo dico a caso: noi dobbiamo misurarci con la continuità della lingua classica, di quella prelatina e di quella delle lingue pre-romane. Dobbiamo farlo ponendoci al di là di sterili miti fondativi che riportano le origini a remotissime e insostenibili speculazioni ricostruttive. Possiamo tuttavia avere un punto di riferimento molto forte e netto al tempo stesso, che vale come un coagulo imprescindibile: parlo di quel piccolo centro sul fiume Tevere capace di diventare luogo di aggregazione di più lingue e genti dell’Italia antica, che lì convergevano. Una unità già ricca di identità che si ritrova in panorama linguistico dell’Italia di oggi, e del quale quello di cui ho appena detto costituisce il precedente e il modello ineludibile.
Un luogo di identità che nasce come luogo dove convergono differenze.
Roma ha in sé il germe delle differenze, ne è il luogo per antonomasia. Queste differenze tornano, come in una restituzione, all’Italia medievale, trecentesca. Fino all’unità esisteranno tante Italie. I dialetti primari sono un imprinting importante e sono sintetizzati tuttavia in una lingua tetto. Questo è evidente. Ma il grande cambio che determina l’unità linguistica è quello che avviene con l’unità di popolo. Non certo nel 1861 ma dopo l’estensione progressiva che ad essa segue: non il giorno dopo ma nel giro di mezzo secolo, gradualmente, si creano le condizioni grazie all’unità politica.
Quali sono le grandi agenzie unificatrici della lingue? Ne ricorderebbe qualcuna?
Sicuramente la prima guerra mondiale, e la leva militare obbligatoria. E naturalmente la scuola, alla quale oggi aggiungiamo senz’altro la televisione. C’è una sequenza progressiva delle agenzie unificatrici. Un argomento a sé, e ricco di interesse. Con gli effetti dell’azione delle grandi agenzie unificatrici finisce il sale della diversità. Uno potrebbe dire che scompare la diversità caratteristica: ma non è vero, nulla di tutto questo. È vero sì che siamo in un periodo di globalizzazione anche linguistica che, già ben avviato negli anni ’80 del secolo scorso, ci ha travolto; resta però nel locutore italiano quella che vorrei definire come una ‘capacità di modulazione di frequenza’ del parlato. È un fenomeno straordinario. Noi riusciamo a sintonizzarci su più registri , parlando: si può essere aulici, curiali, leggeri, e inserire con magnifica abilità di commutazione del codice un segmento testuale testo dialettale o paradialettale nel discorso. E, si badi, tutto nell’arco di una stessa giornata. Sappiamo proporre microtesti scanditi su almeno una decina di alternative.
Quale è il posizionamento della lingua italiana nel mercato mondiale delle lingue?
Qua si tocca un nervo scoperto. Direi quasi che si tratti di un argomento che fa indignare non solo il linguista ma lo stesso cittadino italiano. L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione Europea e nonostante questo, per esempio, non siamo lingua di lavoro dell’Unione stessa. Si pensi, per fare un altro esempio, che non si possono depositare brevetti in italiano: una grossa penalizzazione per le nostre imprese. Come se non si potesse inventare qualcosa in italiano: la si deve tradurre cognitivamente, per così dire, in inglese.
Qui c’è la questione dell’investimento della politica sull’italiano.
Senza dubbio. Dico in estrema sintesi qualcosa che riassume la debolezza, la scarsezza dell’investimento della politica nel sistema Paese: non investire nel sistema-lingua equivale a non investire nel sistema-Paese. Non si è investito nell’italiano all’estero, è chiaro. Con tutto il doveroso e sincero rispetto per la Dante Alighieri, bisogna fare di più, e il Presidente Ciampi in tal senso aveva avviato azioni mirate muovendo all’occorrenza vere e proprie delegazioni che rappresentassero il sistema-Italia. Non bisogna sottovalutare la formazione umanistica. L’Italia ha un patrimonio unico al mondo ma non lo si fa fruttare. Uno spreco senza misura. Per dirne solo una, noi siamo la 19ma realtà linguistica mondiale per numero di parlanti ma al contempo siamo sesti come domanda apprendimento. Dobbiamo chiederci perché. Dobbiamo investire sulle terze e quarte generazioni di italiani nel mondo (ben 80 milioni). Dobbiamo recuperare il terreno perduto. Dobbiamo farlo per guadagnare competitività e competenze.
A parlar di lingua italiana stiamo parlando di futuro dell’Italia.
Sì. Per questo abbiamo voluto un convegno dedicato all’identità linguistica dell’italiano. Diamo il nostro contributo a una riflessione necessaria, urgente e prospettica.
A. M.
It look's like you don't have Adobe Flash Player installed. Get it now.
Audio intervista - Ibadi Theology. Rereading Sources and Scholarly Works