Ancora a proposito di comunicazione nel Mediterraneo

 

Ancora a proposito di comunicazione nel Mediterraneo

La Conferenza Permanente per l’Audiovisivo Mediterraneo presenta il proprio lavoro nell’ambito della primavera araba agli studenti dell’Orientale

13 novembre 2011 - Proseguono gli incontri previsti nel Laboratorio "L'Altro: ospite o nemico? Testimonianze dal Mediterraneo in lotta", organizzato dal Centro di Studi sulle Culture del Mediterraneo dell'Ateneo e curato dalla sua Presidente, la professoressa Maria Donzelli, puntuale moderatrice. Questa settimana sono state ospitate le dottoresse Alessandra Paradisi e Loredana Cornero, rispettivamente Segretario Generale e Presidente della Commissione Donne della COPEAM (Conferenza Permanente per l’Audiovisivo Mediterraneo), oltre che giornaliste Rai. La dottoressa Paradisi è stata la prima ad approcciarsi agli studenti, ripercorrendo rapidamente le tappe fondamentali di quello che era stato concepito a Palermo come un Forum di Discussione nel 1994, ma che, sulla spinta del Processo di Barcellona, ha finito con l’assumere la forma che conosciamo oggi dopo la fondazione al Cairo nel 1996. Nonostante il fallimento di Camp David e l’impasse successiva alla seconda Intifada, nonostante l’idea di Africa non fosse stata ancora soppiantata dal concetto più ampio di Mediterraneo e, soprattutto, nonostante la diffidenza e il mancato appoggio delle istituzioni, la COPEAM è riuscita a diventare quella che è oggi: una realtà che guarda ad un nuovo insieme, che prevarica le dimensioni nazionali e continentali e che fa del patrimonio culturale “made in med” una potenzialità. Non deve sorprendere dunque che essa si sia accorta dei fermenti in atto nel mondo arabo ancor prima degli osservatori internazionali e che abbia cercato di intervenire nel loro ambito, ponendosi una domanda fondamentale: quanto hanno contribuito i dirimpettai della sponda Nord ad innestare i processi di rivoluzione? Probabilmente più di quanto essi stessi credano. La popolazione araba non è stata solo oggetto del processo di informazione, ma anche e soprattutto soggetto. I media internazionali sono intervenuti in maniera affatto neutrale nella vicenda, ma, non per questo, i giovani, motore della rivolta, hanno perso la consapevolezza del potere della comunicazione. I social-network hanno permesso il reperimento e la diffusione di notizie non falsate, imprimendo grande accelerazione ai movimenti sociali ed amplificando il raggio della libertà d’espressione. E tutto questo è stato documentato. Come? Sfruttando la rete di cooperazione intessuta con giornalisti e giornaliste del Sud, venutasi a creare negli anni grazie a tirocini, workshop, corsi di formazione e progetti condivisi, come quello di “Inter-Rives”, vissuto assieme a 15 paesi dell’ASBU (Unione degli Stati Arabi per la Radiodiffusione). I colleghi si sono passati le notizie e, tutti insieme, hanno contribuito alla crescita del movimento. Molte donne soprattutto hanno giocato un ruolo fondamentale. Donne diverse dallo stereotipo presente nell’immaginario occidentale, alle quali la COPEAM ha sempre guardato, con il lancio della politica Genders&Media illustrata dalla Cornero, volta a soddisfare la pressante richiesta di formazione, la cui esclusione dall’ambito lavorativo e dai suoi vertici sta cominciando ad essere avvertita dagli uomini come una vera e propria perdita. Le testimonianze delle loro lotte sono state presentate all’Università di Roma Tre, l’8 marzo scorso, nell’ambito della Rassegna “La Mimosa e il Gelsomino”, alla quale hanno preso parte personalità come quella di Iman Sabbah, giornalista di RaiNews24 nata a Nazareth e giunta in Italia grazie a una borsa di studio, e di Sondès Ben Khalifa, reporter delle elezioni tunisine. Supporti video sono stati gli spezzoni di Cairo Downtown di Carolina Popolani, assieme a delle registrazioni di Amel Mathalouth che ha cantato in piazza Ma parole est libre, ma non è mancato il riferimento al mondo digitale, col blog A Tunisian Girl di Lina Ben Menin, che ha fatto sentire la propria voce contro il regime, anche attraverso la radio pirata “Kalima”. E questi sono solo alcuni dei tanti nomi: si potrebbero redarre elenchi interminabili di donne che col proprio corpo hanno fatto da scudo ai manifestanti, agendo come strumento più efficace del cambiamento. Un processo non ancora giunto alla sua completa realizzazione, è vero, ma che fa ben pensare. “L’unica cosa sicura è che gli Arabi non vogliono più tornare indietro” dice Sandi Wanman. Il Mediterraneo a cui bisogna guardare non è più quello della Nostalgia, ma della Frontiera: www.medmed.eu. Dal 2012 una realtà. In tre lingue.

Annamaria Bianco

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