Dall’Orientale a Lipsia: intervista a Maria Evelina Santoro

 

Dall’Orientale a Lipsia: intervista a Maria Evelina Santoro

Maria Evelina Santoro

Laurearmi all’Orientale era il mio sogno fin da bambina. Anche mio padre si era laureato là. Ateneo con prestigio riconosciuto ovunque

Lei si è laureata nel 2000 in “Lingue e Letterature straniere” il 17 ottobre 2000, con una tesi su “Scrittrici romantiche e letteratura militante”. 110 e lode il voto di laurea. Come è giunta a scegliere questo tipo di laurea, e qual è stato il Suo percorso universitario? Ha scelto, come lingue di studio, inglese e tedesco.

Laurearmi in “Lingue e Letterature straniere” all’allora Istituto Universtario Orientale era il mio sogno fin da bambina, dal momento che anche mio padre si era laureato nella stessa Università. Inizialmente avevo scelto l’inglese come prima lingua, ed ero indecisa tra tedesco e russo. Poi, quasi per istinto, ho scelto tedesco, che non avevo mai studiato prima avendo frequentato il Liceo Classico, ed è stato ‘amore a prima vista’. L’efficienza dei corsi di lingua e il fascino di quelli di letteratura mi hanno portato a scegliere il tedesco come prima lingua e a fare la tesi di laurea con un docente che mi ha fatto amare questa disciplina a tal punto da far sì che io proseguissi sulla strada della ricerca. Scrittrici romantiche e letteratura militante: è un tema di grande impatto.

Potrebbe dirci, in sintesi, quale tesi sviluppa nel Suo lavoro?

La tesi sviluppata nel mio lavoro conclusivo è che nel periodo romantico in Germania, accanto a poche scrittrici famose e riconosciute, ci sia stato un grande fermento intellettuale da parte di donne colte, che hanno trovato nella rivista letteraria il mezzo d’espressione privilegiato, in particolare in due generi: l’epistola letteraria e la conversazione erudita. Attraverso questi pochi spazi loro ‘concessi’, diverse scrittrici hanno potuto affermare le loro idee e il loro valore e hanno rotto gli argini di una tradizione letteraria prettamente ‘maschile’, anche se tra pregiudizi e ostacoli di ogni tipo. Dall’Orientale a Lipsia.

Come mai a Lipsia, che certo è un importante centro di studi?

Dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in “Scienze dell’Antichità classica” presso l’Università di Foggia nel 2009, ho presentato la mia domanda come assistente presso l’Università di Lipsia, e ho avuto questa bella opportunità lavorativa e di formazione, oltre che di arricchimento personale. Dover tenere corsi in lingua tedesca è stata una bella sfida, ma esserci riuscita è stata fonte di grande soddisfazione.

Lei si è occupata anche dei rapporti tra la Germanistica e la Romanistica. In quale senso?

Fin dal mio soggiorno in Germania nell’ambito del progetto Erasmus, ho avuto modo di instaurare rapporti con la Romanistica, dal momento che il professore di riferimento dell’Università tedesca era un romanista. La conoscenza e la stima reciproca è continuata nel tempo, fino ad una collaborazione di un anno, durante la quale ho lavorato presso l’Università di Aquisgrana e mi sono occupata di aspetti comparatistici tra la Germanistica e la Romanistica.

Lei, germanista di formazione, è dottoressa di ricerca in “Scienze dell’Antichità classica”. Come ha unito in sé gli strumenti e i valori di una formazione di classicista e quelli degli studi universitari?

L’approccio comparatistico è emerso durante il mio corso di Dottorato. Il Dipartimento presso il quale mi sono addottorata si chiama “Tradizione e fortuna dell’Antico”, e uno dei suoi aspetti peculiari è proprio lo studio della fortuna dell’Antico nell’età moderna e contemporanea. Ho potuto così unire le mie conoscenze classiche, acquisite durante il Liceo, a quelle della filologia moderna oggetto dei miei studi universitari.

Nella letteratura tedesca moderna e contemporanea sono ancora presenti i miti classici? Potrebbe fare qualche esempio?

La letteratura tedesca moderna e contemporanea è ‘assediata’ dalla presenza dei miti. In particolare il Novecento è stato un secolo molto ricettivo a diversi miti: da Medea a Orfeo, da Antigone ad Elettra. Si potrebbero fare tantissimi esempi di opere appartenenti a diversi generi che, in maniera latente o esplicita, hanno rivisitato i miti alla luce della contemporaneità. Quello che risalta è la ricorrenza di alcuni miti in particolari contesti storici e sociali, ad esempio di miti violenti e sanguinari in concomitanza con periodi di guerre o, in generale, di smarrimento collettivo e individuale.

Lei ha pubblicato un volume su «Elettra. Ricezione e fortuna nella cultura tedesca», apparso da poco tra le novità della casa editrice barese Levante. Vuole accennare a come è strutturato il volume? Quale l’idea centrale?

Il libro si articola in quattro parti principali: la prima offre una panoramica sulla ricezione del mito in Germania da un punto di vista filosofico-filologico, la seconda riguarda la ricezione di questo mito fino alla fine dell'Ottocento, con un'analisi delle opere su Elettra, molte delle quali poco o affatto conosciute. La terza parte riguarda la ricezione nel Novecento. Sono state ancora una volta analizzate le opere su Elettra, evidenziando l'evoluzione dei mitemi che costituiscono la struttura portante del mito. La quarta parte rappresenta il fulcro del libro. Sulla base dell’analisi delle opere su Elettra appartenenti a generi diversi, attraverso un approccio strutturalista ho cercato di capire se e come questo mito si sia evoluto nelle sue strutture portanti, e perché è stato di volta in volta scelto dai diversi autori, anche in relazione alle varie epoche storiche. Completano il libro due appendici: la prima registra la fortuna del mito di Elettra in Germania in ogni ambito della cultura. La seconda presenta la produzione di arte figurativa sul mito di Elettra nei paesi di lingua tedesca nell’antichità e nell’età moderna e contemporanea. L’idea centrale è che il Novecento, inaugurato dall’Elektra di Hofmannsthal, sia stato il secolo più ricettivo rispetto a questo mito, essendo riuscito ad esprimere quel ‘terrore arcaico’, quella profonda sofferenza esistenziale dell’uomo moderno attraverso una figura che, a differenza delle elaborazioni classiche o di quelle dell’età moderna, non si affida più a superiori potenze divine, ma affronta il dolore e lotta per la felicità e per la giustizia, quasi sempre con esiti tragici.

Quali ricordi ha del nostro Ateneo? Ritiene che provenire dall’Orientale Le sia stato utile in qualche momento della Sua carriera?

Ho ricordi bellissimi del periodo trascorso all’Orientale, sia perché finalmente studiavo quello che avevo sempre desiderato, e sia perché ho incontrato professori e colleghi di studio straordinari. Provenire dall’Orientale mi è servito per due ragioni: primo perché mi ha formata davvero, sia professionalmente che caratterialmente, data la ‘severità’ di alcuni corsi di studio, in particolare di quelli di tedesco. Secondo, perché il prestigio dell’Orientale è riconosciuto sia in Italia che all’estero, e ne ho avuto più volte riscontro. 

Francesco Messapi

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