Psicanalisi e Buddhismo
Psicanalisi e Buddhismo
Il convegno, organizzato dal Centro di Studi sul Buddhismo, ha visto l’incontro di alcuni tra i più importanti studiosi nell’ambito del rapporto tra psicanalisi e buddhismo
"La psicanalisi è stata senza saperlo orientale negli aspetti tecnici e occidentale negli aspetti teorici". Queste parole del decano della psicanalisi italiana Emilio Servadio, citate da Graziano Graziani, riassumono bene il leitmotiv della giornata di studi Psicanalisi e Buddhismo. Il convegno è stato organizzato dal Centro di Studi sul Buddhismo e fortemente voluto dal suo presidente, la professoressa Giacomella Orofino, che ha sottolineato l’impegno del Centro ad approfondire in modo scientifico le culture dell’Asia e a portare avanti un dialogo aperto con la contemporaneità. Proprio in questo secondo punto va ricercato l’intento della giornata di studi che ha visto l’incontro di alcuni tra i più importanti studiosi nell’ambito del rapporto tra psicanalisi e buddhismo.
Nel primo intervento, Franco Fabbro, ordinario di Neuropsichiatria infantile a Udine, ha spiegato in quale modo la neuropsicologia si pone nei confronti dell’esperienza religiosa. Attraverso una serie di immagini Fabbro ha illustrato gli ultimi risultati della scienza, che è riuscita a mappare il cervello individuando la zona in cui è localizzata la spiritualità. In particolare ha spiegato come è stata individuata la zona del cervello responsabile delle esperienze di trascendenza (il primo a parlarne è Michael Persinger) e ha ricordato alcuni casi clinici significativi, come quello di una persona che, dopo aver avuto un tumore in quella zona del cervello, ha iniziato ad avere visioni mistiche. Molto suggestiva la descrizione dei vari casi.
Gherardo Amadei, docente di Psicologia dinamica all’Università Milano-Bicocca, ha criticato il modello psicanalitico classico, definito "autistico" perché chiuso al confronto e ha individuato nella psicanalisi relazionale, per la quale l’io è una struttura in continuo divenire, il partner privilegiato del buddhismo, poiché alla base di entrambi c’è il momento dell’attenzione.Antonio Vitolo, analista dell’Associazione Italiana e Internazionale di Psicologia Analitica, si è concentrato sulla figura di Gustav Jung, di cui è traduttore. Lo psicanalista svizzero non si interessò soltanto ai monoteismi con una riflessione riguardo a Mosè e al Corano ma, grazie alla scoperta del testo Il segreto del fiore d’oro, si aprì all’Oriente scrivendo testi sull’illuminazione e la meditazione orientale.
Mauro Bergonzi, docente di Psicologia generale e di Religioni e filosofie dell’India presso il nostro Ateneo, ha fatto costantemente dialogare il punto di vista buddhista con quello psicologico-psicanalitico, mettendo in risalto i punti di contatto e di distacco tra i due ambiti.
Anthony Molino, antropologo e psicanalista di formazione anglo-americana, ha dedicato l’intervento al suo maestro Richard De Martino, personaggio eccentrico e ora dimenticato dal mondo accademico. De Martino, autore insieme a Fromm e Suzuki del famoso libro Psicanalisi e Buddhismo Zen e vicino a Lacan su alcune posizioni, coglie il dramma dell’esistenza nell’inconoscibilità tra gli individui che non potranno mai incontrarsi realmente come soggetti ma saranno condannati alla relazione soggetto-oggetto. Unica via d’uscita da questa empasse è lo zen.
L’ultimo a prendere la parola è stato lo psichiatra Graziano Graziani, che con una lettura storica della storia della psicanalisi in Italia si è concentrato su due figure fondamentali: Roberto Assagioli, indicato da Jung come l’unico in grado di portare la psicanalisi in Italia, ed Emilio Servadio, personaggio molto discusso e poco conosciuto, perché autore soprattutto di articoli per riviste, ma anticipatore della riflessione sul rapporto psicanalisi-meditazione.
Aniello Fioccola