Se Penelope non è semplicemente “l’anatra” (e altre considerazioni sulla menzogna)

 

Se Penelope non è semplicemente “l’anatra” (e altre considerazioni sulla menzogna)

Odisseo: una rappresentazione

“Penelope la saggia papera? Troppo facile!”. Le considerazioni linguistiche di Alberto Manco sulla menzogna nel quinto appuntamento del ciclo di conferenze “Menzogna e politica” organizzato presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università L’Orientale

 

Una connessione fra la vicenda di Penelope e la revisione etimologica del suo nome proposta da Alberto Manco, che rivede la collocazione della “saggia anatra” fra l’opera (menzognera) di Atena e quella (a sua volta non certo lineare) di Ulisse. Il ciclo di conferenze “Menzogna e politica”, giunto al suo quinto appuntamento, ha visto appunto la partecipazione del professor Manco, docente di Linguistica testuale all'Orientale (Corso di laurea magistrale in Linguistica e Traduzione Specialistica), che ha presentato un intervento intitolato “La menzogna: considerazioni linguistiche” con riferimento ai due testi omerici dell'Iliade e dell'Odissea; in particolare, a partire dai nomi Penelope e Atena, è stato mostrato il percorso etimologico che pare stare dietro a parole riferibili alla sfera formale di un esito come “mentire”.

Manco, che da tempo dedica una parte della sua ricerca ai testi omerici con riferimento specifico al rapporto fra coesione ed etimologia, ha mostrato come il nome di Atena, non a caso e non certo paradossalmente dea anche della sapienza e che talvolta giunge ad esserne persino personificazione, sia connesso sul piano della coesione testuale agli antefatti formali tra cui rientrerà un esito come “menzogna”, mettendo in relazione semantica la vicenda “celeste” con quella “terrena” rappresentata nel testo da Penelope. Indicativi a tale proposito i nomi che la dea assume nel pantheon romano e in quello etrusco, Minerva e Mnerva. La possibilità di riferire Atena a un dominio semantico ricorrente si intreccia di continuo con le caratteristiche sue proprie, rinvenibili in alcuni elementi lessicali di agevole rilevamento, che vanno considerate però nel sistema di relazione con altri insiemi di elementi: figlia di Zeus (nell’Odissea definito metieta) e non a caso di Metis; protettrice di Ulisse (lui stesso significativamente polymetis), pronta ad assumere le sembianze dell’ineffabile re dei Tafi (dal tanto incredibile quanto significativo nome Mentes) e poi in Mentore, fidato (nonostante un simile nome) amico di Ulisse a cui verrà affidato Telemaco. Occorrenze, queste qua ricordate, che sono una parte di quelle mostrate dal docente nel corso della lezione e che consentono di riferire quello condotto dalla dea nel testo dell’Odissea a un modello linguistico metadiscorsivo decisamente complesso e innovativo nell’economia generale del testo omerico. Un discorso nel quale emerge appunto con insistenza l’indicatore dell’antefatto lessicale del mentire, come ha più volte mostrato Manco, altrettante volte ricordando che tra gli antefatti e gli esiti si pone la storia linguistica con le sue soluzioni impredicibili e che quindi di volta in volta devono essere esaminate a parte. In questa prospettiva, anche il ruolo e il nome di Penelope possono essere ricollocati.

Certo è che se si volesse fare un’ipotesi, necessariamente cauta e orientativa, sul valore attribuito in letteratura alla base indoeuropea *men-, si dovrebbe constatare che essa è sorprendentemente contigua, nei poemi omerici, all’espressione di attività interiori legate a sentimenti talvolta controversi e non facilmente riassumibili in una forma sola, quali ad esempio ira, brama, coraggio. La tarda specializzazione della base nell’attività propria del mentire, a sua volta complessa, è dunque solo uno dei suoi esiti possibili. Non a caso il “mentire” così come lo si definisce sinteticamente oggi ha nei suoi antefatti linguistici un'attività mentale talvolta turbolenta e furente, che mostra sorprendenti contatti con il campo lessicale della tessitura. Un’attività, quest’ultima, a sua volta non solo manuale ma che racchiude anche la possibilità di riferirsi a capacità di pianificazione (interessanti le relazioni linguistiche formali tra i due campi), di attrezzare strategie intelligenti e funzionali alla soluzione che il contesto richiede, ovvero modificatrici del contesto – e qui si pone la questione relativa alle buone o cattive intenzioni del mentitore, alla loro controversa giustificabilità, alla ragion di Stato, e più in generale al campo proprio dell’etica che Manco ha recentemente analizzato, in altra sede, dal punto di vista etimologico.

Lo stesso nome di Penelope, oltre a essere simbolo di fedeltà e di retta amministrazione come la vulgata (scritta soprattutto da uomini) richiede, racchiude – secondo la ricostruzione proposta da Manco – il riferimento etimologico a un'azione pianificatrice complessa. L'etimologia tradizionale mette in relazione infatti l’epiteto con l’anatra, essendo basato esso sul mito che vuole Penelope salvata da un gruppo di anatre dopo che, appena in fasce, era stata abbandonata in acqua dal padre. Considerato e dimostrato che questa ipotesi stride con alcune regole basilari della composizione dei nomi, Manco propone, appellandosi alla trafila formale, che il cosiddetto “nome” della sposa di Ulisse possa risalire ad antefatti contigui ad attività metadiscorsive (“Una grande ricamatrice sì insomma, ma non certo solo di tessuti, e letteralmente”). La metafora della tela che si fa e si disfa viene presentata così alla luce di considerazioni sorprendentemente distanti dal semplice gioco “materiale” dell’operazione, così come viene solitamente rappresentato, e ricondotto a evidenze più sottili, nonché riqualificanti rispetto alla personalità della protagonista del testo omerico, e al tempo stesso credibili considerato il supporto dei dati linguistici addotti. Una cosa è dire infatti che Penelope ha ingannato i Proci fondando questo inganno sui quadri metaforici tradizionali che si tramandano a suo proposito, un’altra è mostrare per vie ricostruttive le motivazioni e le vie di un simile inganno; e, parallelamente, una cosa è dire che Atena protegge certe attività tipicamente femminili del mondo antico, un’altra è metterla in contiguità testuale con una ipostasi femminile (Penelope) capace di produrre argomenti atti a creare una realtà altra o concepire piani a lungo termine – o meglio: privi di una scadenza definibile.

Altra e diversa storia, infine, è quella del termine grecoantico solitamente adoperato per indicare il bugiardo, pseudos. La sua fortuna è stata grande, e ancora oggi lo si ricorda come la forma con cui si traduce il mentitore da quella lingua. Alberto Manco ha ricordato però quanto questo sia insufficiente e parziale: gli antefatti formali che hanno nella parola “menzogna” un loro esito possibile sono infatti numerosi e sorprendentemente articolati nei valori semantici che li compongono, e una forma come “pseudos” è solo una tra le tante che compongono la complessa semantica della menzogna e del mentitore. Piuttosto, sono da recuperare attraverso le evidenze linguistiche le eventuali relazioni del mentire (di cui la forma “pseudos” con cui si traduce il bugiardo è appunto solo una emergenza) con il percorso che conduce a quel vero e proprio nome alternativo della mente che ancora oggi, forse non a caso, risuona nella forma “psiche”.

Salvatore Chiarenza, Francesca De Rosa

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