Intervista a Lia Formigari

 

Intervista a Lia Formigari

Lia Formigari

Intervista a Lia Formigari, in occasione della giornata celebrativa per i settanta anni di Federico Albano Leoni

Professoressa Formigari, nei prossimi giorni sarà a Napoli per una Giornata di studi con Albano Leoni organizzata dalla Federico II e dall'Orientale. Chi è per lei Federico Albano Leoni?

“Un collega e un amico. Un collega-amico. È per questo che ci sarò.”

Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?

“Non molti in partenza, essendoci formati in settori diversi (lui in linguistica, io in filosofia) e in anni diversi (lui circa dieci anni dopo di me) anche se nella stessa Facoltà e con alcuni degli stessi maestri. Molti i punti di contatto, invece, nei rispettivi sviluppi. Tra questi l'interesse per l'epistemologia della linguistica e per le intersezioni fra teoria e storia.”

Un elemento di vicinanza e uno di divergenza tra lei e il professor Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.

“Gli elementi di vicinanza corrispondono a quelli che ho appena elencato sopra. Per quanto riguarda le divergenze, è difficile indicarle così in astratto poiché le diverse messe a fuoco, le diverse predilezioni e percorsi possono solo attenere a punti specifici”.

Che valore ha una giornata celebrativa come questa del 25 febbraio?

“Per me ha sicuramente un duplice significato: dal punto di vista pubblico è un doveroso riconoscimento. Dal punto di vista personale è un’occasione di festa.”

Quale aspetto della ricerca di Federico Albano Leoni metterà in evidenza con il suo contributo?

“Il rilievo epistemologico dell'approccio definitosi nel suo ultimo libro, Dei suoni e dei sensi. O almeno ci proverò.”

Qual è il contributo più rilevante che ha dato, secondo lei, Federico Albano Leoni alla linguistica?

“Dipende da quello di cui uno va in cerca. Per me, è il contenuto dato dalla sua ultima opera che citavo prima e alla quale farò riferimento il 25 Febbraio.”

Ci indica un’opera di Albano Leoni che consiglierebbe di leggere a uno studente interessato alla linguistica?

“Non vorrei ripetermi ma, sicuramente, mi sento di consigliare il suo ultimo libro per la grande rilevanza che secondo a me ha nella disciplina.”

Quali sono, rispetto al campo disciplinare, le differenze che avverte uno studioso di lingue e linguaggi che si forma oggi con uno che si è formato nei decenni scorsi?

“Bisognerebbe chiederlo a uno o più giovani linguisti. I giovani sono comprensibilmente più bravi a marcare le distanze con i loro predecessori.”

Una domanda secca: a che cosa serve oggi studiare linguistica? Ne vale ancora la pena?

“Se la domanda allude agli sbocchi professionali, direi che un giovane linguista probabilmente ha oggi meno occasioni nell'accademia, rispetto al passato, ma di più nel campo applicativo.”

Che cosa ancora si potrebbe/si vorrebbe ancora dire sulle lingue e il linguaggio?

“Oddio, non lo so. Di questo ci si rende conto via via che lo si dice”.

La ricerca linguistica, secondo lei, è abbastanza valorizzata in Italia ai giorni nostri?

“Non saprei, ma suppongo che segua la sorte di tutte le scienze umane per i suoi aspetti teorici e che, in Italia, non goda neppure di grande prosperità per gli aspetti applicativi.”

Chi sono stati i suoi maestri?

“I maestri della mia generazione sono stati perlopiù vecchi signori di formazione idealista. Da loro s’imparavano molte cose alcune delle quali ci è toccato poi confutare. Ma s’imparava l'etica della ricerca e il gusto della costruzione teorica. Molto poi s’imparava dai coetanei, per i corridoi della facoltà. Erano gli anni Cinquanta e ci si guardava intorno”.

Un consiglio da un suo maestro del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.

“Uno, indiretto, di Gertrud Bing, all'Istituto Warburg di Londra: «non citate mai un libro che non abbiate avuto almeno fra mano». Non so cosa sarebbe successo se non l'avessi seguito: forse nessuno se ne sarebbe accorto”.

E il consiglio che non ha seguito?

“Non so, non mi ricordo: se non li ho seguiti, probabilmente, li ritenevo, a torto o a ragione, irrilevanti.”

C’è qualcosa che, a suo avviso, si è perso con gli anni nella formazione di un linguista rispetto al passato?

“Non credo. Finora e nonostante tutto le maggiori Università italiane hanno retto bene, continuando ad assicurare ottimi livelli di preparazione. Stimoli supplementari sono offerti dalla sia pure lenta e parziale internazionalizzazione che esse vanno subendo, e dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie”.

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni hanno condizionato gli studi linguistici consentendo l'esplorazione di nuovi settori grazie a nuove e sempre più sofisticate strumentazioni, ampliando i confini della ricerca e della diffusione del sapere. D'altro canto, l'ampliarsi dei confini di studio è andato di pari passo con una sempre maggiore specializzazione e concentrazione dell'indagine su fenomeni linguistici puntuali e circoscritti. Che cosa deve fare un giovane linguista per non rischiare di restare ancorato al dato particolare?

“Restare ancorato al particolare, per il singolo studioso, non è di per sé un male. Il problema è piuttosto quello di creare o sviluppare all'interno di ogni disciplina una rete istituzionale di cooperazione e partecipazione dei saperi. Perché gli specialisti si devono parlare. A questo certo non giovano i tagli in bilancio”.

Secondo lei, quale argomento meriterebbe di essere studiato maggiormente? Quale invece è un aspetto superato?

“Non credo che ci siano mai argomenti superati all'interno di una tradizione intellettuale. Spesso problemi antichi vengono riformulati secondo nuovi stilemi teorici. O al contrario, sotto l'apparenza di continuità, temi e problemi della tradizione subiscono profonde mutazioni per via d’innovazioni che provengono magari da campi limitrofi. È quanto avviene anche oggi nelle teorie del linguaggio. Nuove tecnologie promettono di mostrarci la mente in azione e di ridurre a protocolli scientifici fatti che erano stati fin lì osservati attraverso l'incerta e controversa tecnica dell'introspezione. Facoltà mentali come la produzione di immagini, la memoria, l'elaborazione delle informazioni dispongono ormai di protesi digitali che sono alla portata di ciascuno di noi. È inevitabile che la filosofia torni a ridefinire i confini tra fisico e mentale e a porsi l'antico e irrisolto problema del rapporto fra scienze umane e scienze della natura. Ed è inevitabile che le scienze del linguaggio partecipino di questo processo epistemologico. Questo è certamente un campo che merita di essere esplorato: con grande circospezione e acribia, senza entusiasmi avventati, il che non sempre avviene”.

Quale consiglio darebbe a un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?

“Ringraziare il cielo di essere interessato proprio agli studi linguistici, che sono una scienza (umana) di confine, passibile di applicazioni nei campi più diversi dei saperi e delle pratiche sociali.”

Quanto conta una solida formazione in linguistica storica nel profilo del linguista contemporaneo?

“Molto. E in generale ogni formazione storica. Non foss'altro per non riscoprire l'acqua calda”.

A cosa sta lavorando in questo momento?

“A niente. Faccio letture a zig zag nello psicologismo tedesco a cavallo tra Otto e Novecento”.

Qual è stata la sua maggiore soddisfazione nella carriera accademica?

“Averla conclusa prima che diventasse difficile ritagliarsi il tempo per lo studio individuale.”

Ci può dire qualcosa a proposito dei rapporti tra lei e i due atenei che organizzano l’evento?

“Ho avuto, negli anni, rapporti occasionali sempre interessanti e piacevoli con le due istituzioni.”

Come giudica l’interesse dei suoi studenti verso la linguistica? Avrebbe un rimprovero e un consiglio da dare loro?

“Gli interessi disciplinari mi sembrano tutti legittimi e benemeriti: giudicherei casomai il modo in cui li perseguono. No, non ho rimproveri da fare e consigli da dare in astratto”.

Per ultimo, potrebbe fare un augurio ad Albano Leoni e uno all’Università italiana?

“Beh, auguro a lui di continuare a fare le cose che fa o altre simili. All'Università italiana di sopravvivere alla riforma Gelmini”.
 

Fabiana Andreani - Revisione: Redazione

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