Intervista a Pier Marco Bertinetto

 

Intervista a Pier Marco Bertinetto

Pier Marco Bertinetto

“Al di là di ciò che occorre imparare a fare per potersi inserire utilmente nel mondo della didattica, la regola aurea consiste nel ritagliarsi sempre un’area di interessi da coltivare con serietà e passione”

Professore Bertinetto, nei giorni scorsi è stato a Napoli per una Giornata di studi con Albano Leoni organizzata dall'Orientale e dalla Federico II. Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?

“La cosa che maggiormente conta è l’appartenenza ad un comune patrimonio di civiltà, intessuto – prima ancora che di un comune sentire scientifico – di una condivisa urbanità di comportamenti e di compartecipi orizzonti civili.”

Un elemento di vicinanza ed uno di divergenza tra lei e il professore Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.

“Abbiamo condiviso, per alcuni anni, un progetto di ricerca, portato avanti con passione e continuo dialogo. Su alcune cose, peraltro non marginali, abbiamo concezioni diverse (come rispetto alla nozione di 'fonema', un tema su cui Albano Leoni ha lavorato molto in tempi recenti). Ma, appunto, con ciò si dimostra che la capacità di dialogare è ciò che maggiormente conta.”

Quale aspetto della ricerca di Federico Albano Leoni ha messo in evidenza con il suo contributo?

“Il mio contributo parla in realtà poco di lui e dice invece qualcosa di ciò che sto facendo io. E questo non per egocentrismo, ma perché ritengo che il miglior dono che si possa fare ad uno studioso consista nell’offrirgli, con umiltà, un frutto del proprio lavoro. Il miglior dono che lui potrebbe fare a me consiste, invece, nel segnalarmi eventuali errori di prospettiva o sviste di ragionamento.”

Lei è professore di Linguistica e direttore del Laboratorio Linguistico nella Scuola Normale Superiore di Pisa. Quali sono i rapporti tra la sua istituzione e i due atenei che hanno promosso la giornata di studi, L’Orientale e la Federico II?

“Da sempre intrattengo rapporti di collaborazione con vari studiosi dei due atenei. L’elenco è corposo.”

Vuole raccontare un ricordo, un aneddoto, relativo al suo periodo di formazione, ai suoi maestri, colleghi?

“Una delle cose che ho appreso dal mio primo maestro Gian Luigi Beccaria (ma ovviamente ne ho avuti anche altri; ciascuno di noi, sé è saggio, 'adotta' vari maestri, piuttosto che uno solo) è l’avversione per il concetto di 'maestro'. E qui mi avvedo di aver già creato un’insanabile contraddizione. Ma ciò che intendo dire è che un vero maestro è colui che trasmette un’idea di libertà intellettuale. Coloro che cercano di plasmare a propria immagine gli allievi non sono maestri, a mio avviso, ma banali aspiranti plagiatori.”

Un consiglio del suo maestro – o dei suoi maestri – del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.

“Un consiglio di Beccaria era di relativizzare gli aspetti accanitamente teorici, privilegiando la prassi della ricerca. A distanza di tempo mi son reso conto di essere restato fondamentalmente fedele a questo suggerimento.”

E il consiglio che non ha seguito?

“Beccaria mi ammoniva a pubblicare cose maggiormente inquadrabili nella Storia della Lingua Italiana (la disciplina che lui insegnava ed in cui mi laureai), per non correre il rischio di non restare – concorsualmente parlando – né carne (storico della lingua) né pesce (linguista). Non seguii il consiglio, virando decisamente verso la linguistica. Posso dire che mi è andata bene. Ma ovviamente poteva andarmi male. Il suo era un consiglio ragionevole.”

Quale consiglio darebbe ad un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?

“Difficile rispondere. Credo comunque che, al di là di ciò che occorre imparare a fare per potersi inserire utilmente nel mondo della didattica, la regola aurea consista nel ritagliarsi sempre un’area di interessi da coltivare con serietà e passione. E, soprattutto, di confrontarsi in ogni momento col palcoscenico internazionale.”

La Giornata di studi con Federico Albano Leoni ha raccolto riflessioni riguardanti molteplici dimensioni della ricerca linguistica. Pensa che oggi sia ancora possibile aspirare ad essere un linguista completo, ossia arrivare ad una visione d'insieme senza perdere di vista la profondità dei singoli fenomeni?

“Con tutta franchezza, penso di no. Le persone della mia generazione potevano permettersi un livello di eclettismo che i giovani di oggi non possono più concedersi. Oggi si è costretti a specializzarsi precocemente in ambiti settoriali. La nostra condizione è stata, diciamolo pure, privilegiata. Ho potuto permettermi il lusso (da cui metterei severamente in guardia un giovane) di sfiorare a volte il dilettantismo, come tipicamente accade a chi si accosta da autodidatta a nuovi settori di studio.”

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi decenni hanno condizionato gli studi linguistici consentendo l'esplorazione di nuovi settori grazie a nuove e sempre più sofisticate strumentazioni, ampliando i confini della ricerca e della diffusione del sapere.
D'altro canto, l'ampliarsi dei confini di studio è andato di pari passo con una sempre maggiore specializzazione e concentrazione dell'indagine su fenomeni linguistici puntuali e circoscritti.
Cosa deve fare un giovane linguista per non rischiare di restare ancorato al dato particolare?

“Sono nuovamente in difficoltà. Suggerirei comunque di mantenere sempre aperta la mente su ciò che fanno gli altri. Essere specialisti di uno specifico settore (o comunque di pochi) non deve comportare l’affievolimento della curiosità intellettuale. Talvolta, da cose del tutto estranee, rispetto quelle di cui ci occupiamo, possono emergere impulsi straordinari.”

Quanto conta una solida formazione in linguistica storica nel profilo del linguista contemporaneo?

“Ovviamente continua a contare. Ma occorre giudicare la questione con umiltà. Sarebbe errato sviluppare preconcetti sensi di superiorità; ciò che conta è la buona ricerca, fatta con gli strumenti adeguati al singolo settore di studio.”

Qual è lo stato degli studi linguistici in Italia e nel contesto internazionale?

“C’è ancora moltissimo da fare; e di buona ricerca, in giro, se ne vede molta, per fortuna. Il nostro orizzonte deve comunque essere, in ogni momento, internazionale.”

I suoi interessi spaziano dalla linguistica tipologica alla fonetica sperimentale. Qual è l’aspetto della sua ricerca che le ha riservato maggiori soddisfazioni e che considera più stimolante?

“Per fortuna conservo la capacità di entusiasmarmi a tutte le cose che faccio. E soprattutto, di entusiasmarmi alle cose ben fatte realizzate da altri. Se poi a realizzarle sono i miei allievi, o persone che lo sono state in passato, il godimento è ancora più grande. E quando poi uno di loro mi corregge o mi insegna qualcosa, il godimento è sommo.”

Tra i vari interessi, lei si è occupato anche delle lingue zamuco, lingue native del Sud America. Quanto è importante per gli studi linguistici – e non solo – la ricerca e la documentazione delle lingue poco note o addirittura mai descritte?

“Sarebbe importante che molti giovani ne comprendessero l’importanza. Abbiamo ancora la possibilità di studiare dal vivo lingue straordinariamente interessanti, diversissime tra loro, che tra poche generazioni non saranno più parlate. E’ un immenso patrimonio culturale e biologico che si sta dissolvendo sotto i nostri occhi. Non possiamo arrestare questo processo, ma possiamo almeno raccogliere documentazione a futura memoria. E questo, beninteso, vale anche per i tanti dialetti italiani in via di più o meno accelerata scomparsa, di cui si ritiene erroneamente di sapere ormai tutto.”

Quanto è difficile oggi, per uno studioso italiano, avviarsi in una simile direzione e provare a fare ricerca sul campo? Come muoversi e dove trovare i finanziamenti, soprattutto in una situazione come quella attuale?

“In realtà, l’investimento (almeno nel mio caso) non è stato particolarmente ingente. La voce più corposa è il biglietto transoceanico. In ogni caso, per fare ciò che ho fatto, sarei disposto a pagare di tasca mia (e in parte lo ho fatto).”

Azzurra Mancini

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