Intervista a Valeria Micillo

 

Intervista a Valeria Micillo

Valeria Micillo

“Federico Albano Leoni è il mio maestro”

Professoressa Micillo, chi è Federico Albano Leoni?

“Federico Albano Leoni è il mio maestro, è stato colui che mi ha avvicinato alla filologia germanica ed è un linguista per il quale ho molta stima, oltre che un grande affetto derivante dagli anni di studio sotto la sua guida. Mi piace molto il suo modo di affrontare i problemi, da lui ho imparato ad analizzare le questioni linguistiche e filologiche da tutti i punti  di vista, con precisione ed esaustività, senza fermarmi all’opinione comune, e con il coraggio di guardare alle cose con prospettive diverse.”

Come mai è stata organizzata questa giornata di studi?

“L’occasione concreta è stata offerta dal suo compleanno, ma pensavamo già da un po’ ad un momento di incontro con tutti i suoi colleghi e i suoi allievi.  Questa iniziativa, però, dal mio punto di vista non è soltanto un’occasioneper riuniretutti quelli che hannocondiviso con Federico momenti della sua vita accademica e personale, ma è anche un’opportunità per far conoscere ad un pubblico più vasto i suoi studi,che spesso propongono interpretazioni nuove e originali, aspetto questo che mi ha da sempre colpito nel suo modo di insegnare e fare ricerca.

Quali sono state le collaborazioni tra lei e il professore Albano Leoni?

“Il mio legame con Albano Leoni è stato molto forte nel momento della mia formazione accademica: credo che il suo insegnamento abbia lasciato un’impronta in tutti i miei studidi filologia germanica, in particolare in quelli sull’ambito nordico,  a cui mi sono appassionata proprio grazie a Federico Albano Leoni.

Quali sono gli interventi previsti e qual è il filo rosso che li lega?

“Gli interventi previsti sono dieci, e sono tenuti da Emanuele Banfi, Pier Marco Bertinetto, Tullio De Mauro, Annibale Elia, Lia Formigari, Stefano Gensini, Franco Lo Piparo, Marco Mancini, Antonino Pennisi, Paolo Ramat. Tutti i relatori sono studiosi di altissimo livello e ben noti nella comunità accademica, ma qui sono soprattutto in veste di persone che hanno avuto un ruolo importante in qualche momento della vita accademica e personale di Federico Albano Leoni. Ad essi si aggiungerà lo stesso Federico Albano Leoni, che in chiusura dovrà trarre le conclusioni del convegno. Infatti noi abbiamo pensato questa giornata come un vero e proprio incontro di studi, oltre che di studiosi, il cui filo rosso è costituito dal fatto che si tratta di tematiche in qualche modo toccate da Federico, o a cui lui si è interessato nel corso della sua intensa attività scientifica.”

Cosa lega, a suo avviso, la filologia e la filosofia del linguaggio?

“Volendo interpretare questi due importanti settori dello studio delle lingue come ambiti all'interno dei quali si è svolta la sua attività di studioso, mi sentirei di dire che Federico Albano Leoni dà  un'immagine della linguistica a tutto tondo, avendo esaminato ed essendosi interessato a tutti o quasi tutti i versanti della disciplina, in modi e momenti diversi della sua vita.  Il suo ultimo libro, Dei suoni e dei sensi, edito da Il Mulino nel 2009,  offre secondo me un bell’esempio del suo approccio ai problemi. In questo saggio Albano Leoni, che più che al suono prodotto si interessa al suono in quanto percepito dall’orecchio e dalla mente umani, mette al centro dello studio non il parlato asettico, artificiale di laboratorio ma quello spontaneo non regolamentato da rigide norme e meno inquadrabile in tipologie troppo definite, provando a smontare le categorie tradizionali relative al suono e analizzandone le contraddizioni,. Un punto di vista non tradizionale, quindi, intento a mostrare che la nostra idea di un mondo linguistico disciplinato e sistematizzato in categorie tradizionalmente descritte e delimitate forse non è corretta, o comunque c’è una visione alternativa delle cose che vale la pena di prendere in considerazione. Questa impostazione ha sostenuto nel tempo - o almeno così mi sembra - tutti i suoi studi, anche quelli filologici: l’idea che il dato linguistico (o testuale) concreto, la parole e, in filologia, il singolo testimone con le sue varianti individuali, rappresentano un atto comunicativo unico e irripetibile, diverso da tutti gli altri, che per quanto si faccia, non si riuscirà a ricomprendere in categorie nette e univoche una volta per tutte; e che essi non soltanto sono ineluttabilmente condizionati in struttura e contenuto dal contesto in cui sono nati, ma di questo sono diretta testimonianza. Ciò non significa naturalmente negare l’esistenza di un ‘sistema’ (anche se basato su categorie che sono essenzialmente proiezioni della nostra mente sulla sostanza linguistica), perché  in tal caso non sarebbe possibile nessuna reale comunicazione: e lo stesso  Federico Albano Leoni ne è perfettamente consapevole, quando ammette di non credere che «la parole, o il discorso, sono un caos ingovernabile, penetrabile solo con l’intuizione» [Dei suoni e dei sensi, p. 191, n.d.r.]”

Come si è avvicinata agli studi linguistici?

“Lo studio della linguistica è a mio parere strettamente collegato con quello delle lingue, che mi ha sempre affascinato: non credo si possa concepire lo studio di una lingua senza l’attenzione per il suo funzionamento e per i meccanismi storici e socioculturali che sottostanno alla sua evoluzione. Tuttavia, il mio interesse per la linguistica viene in realtà da lontano: è stato ilmio professore di greco al liceo ad avvicinarmi alla prospettiva storico-linguistica e filologica. Il mio incontro con la filologia germanica è stato dunque preceduto da quello con la filologia classica, la linguistica storica, la glottologia. Albano Leoni mi ha fatto conoscere la filologia germanica, ma soprattutto mi ha trasmesso la passione verso la ricerca, e in particolare la ricerca linguistica e filologica. ”

Lei è Presidente della Commissione di Ateneo per l’Orientamento e Tutorato: quali sono gli sbocchi occupazionali per chi intraprende gli studi linguistici?

“Non possiamo nasconderci che le lauree umanistiche in questo momento vivono una situazione complicata, acuita maggiormente dalle difficoltà del mercato del lavoro, in particolare nel nostro Paese. Le aspettative legittime di studenti e genitori per uno sbocco lavorativo adeguato alla formazione ricevuta e conseguito entro un tempo ragionevole si scontrano con le attuali criticità dell’economia mondialee con la forte competizione richiesta da un mondo del lavoro globalizzato e altamente specialistico. In questo contesto le discipline umanistiche sembrano offrire profili professionali poco definiti e, apparentemente, poco adatti al moderno universo tecnologico. Lo studio delle lingue può rientrare in parte in questa situazione, se non è frutto di una scelta ponderata. Il primo elemento da tenere in considerazione, dunque, è la motivazione che porta verso un certo ambito di studi: se la scelta è sostenuta dalla passione, da una forte motivazione, essa comporterà un impegno profondo e costante  che darà risultati di eccellenza e permetterà quindi un più facile inserimento nel mondo del lavoro e una adeguata collocazione economico-professionale. Uno strumento che negli anni si è dimostrato molto utile è quello dello stage/tirocinio formativo. Anche per le lauree umanistiche, e anzi forse proprio per queste, lo stage risulta a mio parere interessante, in quanto offre  la possibilità di avvicinarsi al mondo del lavoro, sperimentando situazioni professionali anche in campi non previsti inizialmente e mettendo in luce le proprie potenzialità. Fermi restando quindi gli sbocchi tradizionali per chi intende studiare le lingue e le loro culture - il campo dell’educazione e della formazione, la traduzione e la mediazione linguistica, il lavoro in enti culturali ed organizzazioni internazionali, e in generale  l’attività in contesti multilingui e multiculturali – è possibile avviarsi ad esperienze lavorative diverse. Un buon numero dei nostri laureati tramite gli stage si avvicina ad un settore prima non conosciuto, in cui può talora mettere a frutto non soltanto le sue competenze linguistico-culturali, ma anche i suoi interessi e le sue capacità personali. Prendo alcuni esempi reali: una nostra laureata con interesse per le tecnologie si occupa di editoria digitale in una casa editrice cui è giunta tramite uno stage; una studentessa con la passione per la moda ha effettuato uno stage presso una importante multinazionale dove continua ancora a lavorare; un altro nostro laureato è attualmente impiegato in Giappone nel settore design di una multinazionale, mentre un’altra laureata in lingue orientali lavora nel settore produzione di un’azienda cinese. Si possono dunque studiare le lingue - e la linguistica, aggiungo -  indirizzandosi anche a campi differenti da quelli della traduzione, o dell’insegnamento, che tra l’altro è fortemente inflazionato e il cui accesso è attualmente in via di ridefinizione. Riceviamo un feed back molto positivo in particolare per gli stage all’estero, presso ambasciate ed enti culturali, ma anche presso aziende commerciali e organizzazioni internazionali. Questo non significa necessariamente che il lavoro vada cercato al di fuori dell’Italia, però bisogna anche dire che chi studia lingue straniere deve essere in qualche modo proiettato verso scelte ‘altre’.”

Quali ambiti di ricerca sta approfondendo attualmente?

“Gli ambiti di ricerca in cui mi muovo più frequentemente sono quelli dell’antico nordico e dell’antico inglese. Recentemente mi sono interessata all’uso del fantastico e del mostruoso nel Beowulf e nelle saghe islandesi. Il poema anglosassone ha tra i protagonisti Grendel, il più famoso mostro della letteratura germanica antica, un gigante antropofago con molte caratteristiche del draugr, una sorta di fantasma tipico della mitologia nordica che provoca morte e distruzione. Anche le saghe islandesi, nonostante la loro fama di ‘storicità’, incorporano spesso elementi fantastici e soprannaturali, specialmente in alcune tipologie, in cui il meraviglioso è un tratto costitutivo della narrazione. Nello stesso tempo continuo il lavoro sul Terzo Trattato Grammaticale Islandese di Óláfr Þórðarson hvítaskald, un testo con molti spunti interessanti sia dal punto di vista della storia del pensiero linguistico che della tradizione retorico-grammaticale tardoantica e medievale. È stato proprio Albano Leoni a indirizzarmi versolo studio diquesto trattato, a cui sto lavorando da tempo e su cui ho prodotto diversi saggi. ”

Di che si tratta?

“Si tratta di un’importante testimonianza relativa all’esistenza di una speculazione linguistica, in buona parte autoctona, nell’Islanda medievale. Quest’isola vede la comparsa, tra la metà del XII e la metà del XIV sec., di una tradizione grammaticale che comprende alcuni trattati di argomento fonetico-ortografico e retorico-stilistico, indicati come Primo trattato grammaticale islandese, Secondo, etc., in base alla loro successione nel Codex Wormianus, l’unico manoscritto che li contiene tutti. Sono tra i primi testi in Europa ad avvicinarsi al volgare - in questo caso l’islandese antico – in quanto oggetto di studio, anche se questo studio è comunque (e ovviamente) mediato dalla cultura latina, benché in misura e maniera diverse. Il Primo trattato grammaticale islandese, e in parte il Secondo, che sono incentrati fondamentalmente su questioni ortografiche e fonologiche, risultano particolarmente interessanti in quanto elaborano contenuti e metodi analitico-descrittivi che secondo alcuni possono essere avvicinati a quelli della linguistica moderna. Il Terzo grammaticale islandese e il Quarto trattato hanno invece come tema principale l’uso degli stilemi retorici e metrici nella poesia norrena secondo modelli che si rifanno esplicitamente alla tradizione latina. È sintomatico della considerazione attribuita alla lingua locale il fatto che gli esempi citati siano tratti non dalle opere degli auctores classici, ma dai principali poeti della tradizione scaldica norrena, che vengono quindi sentiti come altrettanto autorevoli e degni di essere ricordati ed imitati. L’autore del Terzo trattato, Óláfr Þórðarson hvítaskald, dichiara esplicitamente che la cultura latina e la cultura norrena devono essere considerate sullo stesso piano, e questo è un dato estremamente interessante, visto il prestigio della tradizione latina in quell'epoca.”

Cosa sta leggendo?

“Per puro piacere personale leggo Camilleri, e in generale i gialli, il noir e tutti quei testi che implicano  la risoluzione di misteri o di problemi. Leggo però molte altre cose, soprattutto saggistica, le mie ultime letture sono relative alle saghe islandesi, e ho appena iniziato un testo di M. Buzzoni, Beowulf al cinema, sulle riscritture cinematografiche del famoso poema epico-eroico antico inglese. ”

Cosa sta scrivendo?

“Sto terminando di scrivere un saggio sulla funzione degli elementi fantastici nella saga, in particolare nelle cosiddette ‘saghe degli islandesi’. Questa tipologia di saghe per molti si identifica con la saga in generale, ed è stata spesso immaginata come strettamente legata alla realtà storica, una sorta di cronaca di avvenimenti realmente accaduti con pochi interventi da parte del narratore. Tuttavia, anche in testi come questi, in cui c'è una forte tendenza alla verosimiglianza se non al realismo, si riscontra la presenza del soprannaturale, che si concretizza per esempio in sogni premonitori, magie, maledizioni che si avverano, esseri soprannaturali, portenti di diverso tipo che suscitano meraviglia, inquietudine, sgomento. In alcuni casi l'elemento fantastico, mostruoso è un elemento dominante e caratterizza un’intera tipologia, come quella delle cosiddette ‘saghe menzognere’ (in norreno, lygisögur), composizioni di argomento mitologico-leggendario (‘saghe del tempo antico’) o romanzesco (‘saghe cavalleresche’) con forte presenza dell’elemento fantastico, talora derivante dal patrimonio mitico nordico, in altri casi frutto dell’influenza della contemporanea letteratura continentale, in particolare quella francese delle chansons de geste e del romanzo cortese.  Questi elementi hanno una funzione narrativa definita, che, a seconda del genere di saga e del contesto, va dalla strutturazione del discorso narrativo tramite ad es. l’anticipazione di eventi futuri, alla ricostruzione di uno scenario o della psicologia di un personaggio, dalla messa in rilievo di contrasti di tipo sociale, alla esaltazione del ruolo dell’eroe, di cui vengono messe in luce le capacità, la forza o l’abilità specie nel momento della sua formazione, fino a giungereal (almeno apparentemente) puro e semplice piacere, potremmo dire, della fiction.”

Francesca De Rosa

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