L'Asia orientale e meridionale nel processo di integrazione regionale asiatico

 

L'Asia orientale e meridionale nel processo di integrazione regionale asiatico

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Noemi Lanna, docente di Storia del Giappone Contemporaneo presso questo Ateneo, ha tenuto oggi un seminario sugli equilibri geopolitici del Sud-Est Asiatico

Napoli, 23 aprile 2010 – E’ possibile parlare di un processo d’integrazione anche per l’Asia Orientale? Quali legami giustificano una progressiva convergenza in questa vasta regione? Esistono valori comuni e condivisi analogamente all’Unione Europea?
E’ proprio partendo da questi interrogativi che Noemi Lanna, docente di Storia del Giappone Contemporaneo presso quest’Ateneo, ha tenuto oggi un seminario sugli equilibri geopolitici del Sud-Est Asiatico dal titolo L'Asia orientale e meridionale nel processo di integrazione regionale asiatico.
Il percorso attraversa gli ultimi due secoli di Storia trovando i suoi albori nel XIX secolo dominato da un ordine, prima sinocentrico e poi nippocentrico, basato su un alto grado d’integrazione economica e sulla condivisione di modelli politici e identitari tra gli Stati tributari.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra il 1945 e 1960, per effetto della decolonizzazione e della nascita dei blocchi USA-URSS, si assiste a una progressiva frammentazione degli equilibri del Sud-Est Asiatico. Caratteristici di questo periodo sono le quasi inesistenti relazioni tra Paesi appartenenti a blocchi ideologici diversi, contrapposte a solidi legami bilaterali con gli USA.
I successivi due decenni, fino alla metà degli anni Ottanta, testimoniano una positiva ripresa del processo integrativo con l’istituzione, nel 1962, dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations) e successivamente dell’Asian Development Bank. Sullo sfondo, il miracolo economico del Giappone che diviene in pochi anni motore dello sviluppo dell’Asia Sud-Orientale e promotore di iniziative volte a rafforzare i legami regionali.
Dagli anni Novanta fino ad oggi, parallelamente alla crescente rivalità tra Cina, in prepotente ascesa, e Giappone, in situazione di stallo, nascono numerosi nuovi accordi intraregionali. L’East Asia Summit del 2005 sancisce la ridefinizione degli equilibri geopolitici di questa nuova fase di regionalismo che vede il primato dell’Asia Orientale a favore di quella Trans-pacifica.  
Tuttavia, per alcuni studiosi di stampo realista, ostacoli come la presenza nella regione di controversie territoriali e di ferite storiche ancora aperte (come nella controversia relazione Cina - Giappone) unite a una grande eterogeneità di condizioni socio-economiche, impedirebbero la realizzazione pratica ed effettiva degli "Stati Uniti d’Asia".
Al contrario, c’è però anche chi sostiene che questo tipo di regionalismo, improntato su un basso livello d’istituzionalizzazione, un dialogo basato sul "consenso" e un aumento progressivo e constante della quota d’integrazione del mercato, sia una strategia risolutiva per superare in più piani le divergenze.
Il paragone con l’UE risulta comunque difficile da fare data la grande specificità locale del modello europeo che mal si adatta a una "orientalizzazione". Probabilmente per la realizzazione di un’East Asian Community un fattore decisivo sarà l’affermarsi di stabili relazioni multilaterali tra Cina, Giappone e Corea del Sud ed una redistribuzione di potere nella regione.

Fabiana Andreani

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