Lessico e comix: intervista a Marcello Aprile

 

Lessico e comix: intervista a Marcello Aprile

La copertina di uno dei testi di Marcello Aprile, Dalle parole ai dizionari

Il Web Magazine dell'Orientale ha intervistato il noto linguista italianista

Professore Aprile, lei è intervenuto di recente a un Convegno sul fumetto organizzato all'Orientale di Napoli ospite della sessione dedicata a questioni linguistiche. Su cosa ha incentrato il suo intervento?

“L’ho incentrato su un disegnatore e autore di graphic novel che si chiama Vittorio Giardino e che è uno dei più grandi artisti italiani del Novecento.”

Com’è nato l’invito alle Giornate di studio?

“Io da alcuni anni mi occupo del fumetto dal punto di vista linguistico, ma anche semiotico, e Alberto Manco è un linguista dell’università di Napoli l’Orientale: è stato naturale trovare un punto d’incontro, e così Alberto mi ha chiamato e io sono venuto volentieri a parlare di Giardino.”

Fumetto, graphic novel, graphic journalism: quali le differenze?

“Il terzo termine va separato abbastanza nettamente: è un’altra cosa. Io credo che la questione terminologica sia molto importante: il fumetto è un iperonimo, cioè comprende graphic novel, strisce come quelle di Lupo Alberto, ma anche Topolino, o altri formati, eccetera.”

Graphic novel: cosa rappresenta per lei?

“La graphic novel è il corrispondente del romanzo, attuato in altre forme.
Nel mondo attuale, in cui la crisi del romanzo mi sembra evidente, per l’Italia, e non solo per l’Italia, per altri paesi che pure hanno una grandissima e lunghissima tradizione letteraria, come la Francia, la graphic novel in questo momento produce risultati migliori di quanti non ne produca la narrativa tradizionale.”

Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?

“Come tutte le forme di espressione il fumetto può essere o non un’espressione efficace: il fumetto non è né buono né cattivo di per sé, dipende dal suo livello e dalla sua qualità, esistono anche sinceramente fumetti pessimi. Da questo punto di vista, non è una forma d’arte che io sacralizzerei. Faccio esempi estremi e anche provocatori per essere chiaro, ma immagino che ci fosse un fumetto anche nella Germania nazista e non per questo era una buona cosa.”

Come è cambiata la percezione del fumetto negli ultimi cinquant'anni? E i suoi contenuti?

“È cambiata moltissimo, naturalmente. Ci siamo ripresi (parlo in prima persona, un po’ anche abusivamente) lo spazio che era connaturato, cioè oggi in fondo le lamentele sul fumetto come forma di espressione di serie B non hanno più senso, nel senso che è una forma d’arte ampiamente riconosciuta, anche dal punto di vista accademico.

La cosa che mi lascia non poco perplesso, ma che mi fa riflettere sulla separazione tra la classe intellettuale, del nostro paese almeno, e le classi popolari, è che nel momento in cui il fumetto veniva riabilitato è diventata una forma d’arte elitaria. Cioè nel momento in cui conquistava le aule dell’università è diventata una cosa per pochi.”

Qual è il lettore ideale di fumetti?

“Il lettore ideale di fumetti è chi ama leggere prima di tutto, cioè i lettori forti possono tranquillamente essere anche lettori di fumetti, perché la componente verbale nel fumetto funziona come il dialogo in letteratura. Da questo punto di vista il fumetto è un dialogo arricchito da una forma grafica forte.”

Ci sono temi che si prestano meglio o peggio al racconto tramite il fumetto? Se sì quali?

“Io in generale combatto l’idea che il fumetto serva come divulgazione per temi storici o cose di questo genere: la storia dell’Italia a fumetti o cose affini ci hanno fatto più danno del resto perché si è diffusa l’idea che il fumetto servisse per aggirare il problema di mandare a memoria le pagine di un libro.
Da questo punto di vista è bene liberarsi radicalmente di queste cose, il fumetto è una forma d’arte, non è una forma di divulgazione. Non escludo naturalmente il fatto che possa anche essere una forma di divulgazione, ma con i giusti limiti. I promessi sposi, ad esempio, non sono una divulgazione di come funzionavano le cose nel Seicento, e così certamente Vittorio Giardino non è una divulgazione della storia della seconda guerra mondiale, o della guerra di Spagna, o della Cecoslovacchia sotto il regime stalinista. Le graphic novel di Vittorio Giardino sono alcuni dei più bei romanzi scritti in Italia nel Novecento.”

A proposito di Giardino, tra le sue pubblicazioni vi è Le porte d’Oriente, un libro dedicato alla sua opera. Come mai ha scelto l’opera di Giardino per tale analisi?

“Perché contemporaneamente presenta due aspetti paralleli che insieme funzionano benissimo: il primo è la grandissima qualità delle storie narrate, che sono storie che davvero non lasciano fiato dall’inizio alla fine e vanno lette tutte insieme a costo di fare le 5 del mattino, e il secondo aspetto è la qualità strepitosa dei disegni, che sono davvero di qualità impressionante e non hanno niente da invidiare ai fumetti dei grandi maestri della scuola franco-belga.”

Ha pubblicato, o ha in mente di pubblicare, altri libri dedicati al fumetto?

Sì, sinceramente sì. Punto con alcuni miei allievi a esaminare le scuole italiane degli ultimi trenta-quaranta anni.”

Quali sono secondo lei le motivazioni della minore (o tarda) attenzione rivolta a questo genere nell'ambito degli studi letterari e accademici in generale?

“Il fatto che nella cultura si è sempre creata una piramide. Come dice Aldo Grasso, critico del Corriere della Sera, anche se a proposito di altro, al vertice c’è la letteratura, poi c’è il cinema d’autore e poi ci sono generi minori popolari come la televisione, il fumetto, eccetera.
È proprio questo pregiudizio letterario che ha determinato il fatto che generi ugualmente buoni, se non di più, dipende dai contenuti appunto, fossero considerati di serie B.
Per il fumetto come per le serie televisive io posso affermare, credo senza timore di essere smentito, che i risultati, in alcuni casi, sono migliori di quelli prodotti dalla letteratura degli ultimi decenni. Tra le serie televisive non c’è dubbio che Lost non abbia confronti rispetto a prove letterarie di qualità medio-bassa.”

Qual è il suo fumetto preferito?

L’Eternauta di Héctor Oesterheld disegnato da Francisco Solano Lopez, un grandissimo disegnatore argentino. Sono due autori argentini della fine degli anni Cinquanta. Questo fumetto è una storia in cui un’invasione aliena è una metafora della società contemporanea. È un’opera di altissimo livello, riconosciuta come tale dai critici di tutto il mondo.”

Ha mai letto un fumetto in lingua straniera? Qual è la bellezza della lettura in lingua originale, quali le perdite nella trasposizione in un'altra lingua e dunque cultura?

“Ho lavorato su questi temi anche attraverso i miei allievi che se ne sono occupati. Non è facile fare la traduzione di un fumetto perché occorre fare attenzione ai fenomeni del parlato nelle due lingue, quella originale e quella di arrivo, per non arrivare a un risultato banale e conservare contemporaneamente la freschezza dell’originale.”

Quale ruolo ha o può avere il fumetto nella mediazione interculturale, anche considerando la sua vasta circolazione?

“Quello di tutte le forme d’arte che puntano ovviamente a essere universali.”

Quale ruolo può avere il fumetto nella formazione ed educazione dell'individuo, considerata la sua diffusione in fasce d'età molto giovani?

“Io su questo sarei perplesso. L’Italia è un paese che non ha più il fumetto infantile, non esiste più il Corriere dei Piccoli, non esiste più il Corriere dei Ragazzi. Il fumetto è diventato una forma d’espressione molto più elitaria di quello che non si dice. I bambini guardano e seguono altro, il fumetto ha molta meno diffusione tra i bambini di quello che si pensa.”

Il lessico dei comics: necessità, problemi (eventualmente legati anche alla traduzione di fumetti in lingua straniera), proposte.

“Il lessico è vario, dipende ovviamente dagli argomenti, quindi c’è il lessico della fantascienza per i fumetti della fantascienza, il lessico poliziesco per i polizieschi, eccetera. Non esiste quindi un lessico del fumetto in quanto il fumetto dipende dagli argomenti trattati.”

Nell’ambito delle lingue dei media, qual è il ruolo, effettivo o potenziale, del fumetto?

“Non più un ruolo di massa, da certi punti di vista. Da altri punti di vista, invece, per descrivere il ruolo del fumetto, prendo esempio da un fenomeno a cui nessuno di noi aveva pensato prima: il cinema fantascientifico è in forte crisi di idee, e negli ultimi 10 anni si è rivolto al fumetto per averle. Il fumetto costa molto meno, disegnare una storia costa cifre che nel cinema sono considerate risibili, motivo per il quale appunto si è creata una buffa dipendenza del cinema d’azione di un certo tipo dal fumetto che mai nessuno avrebbe immaginato prima.”

In particolare per ciò che concerne la traduzione di fumetti in lingua straniera, quale ruolo ha una differenza di lessico dalla lingua originale, e come poter ovviare alle perdite legate alla traduzione di fumetti di culture fortemente lontane da quella occidentale, come nel caso dei manga giapponesi?

“Questo è un problema che riguarda non soltanto il fumetto, riguarda tutte le forme artistiche che hanno la forma verbale come ingrediente fondamentale.

Si tratta di avere dei traduttori che considerino le differenze culturali e che abbiano una profondissima conoscenza di entrambe le culture.

Ovviamente è molto più facile nell’ambito della cultura europea perché noi abbiamo tutti il latino come base, lo dico anche per il mondo anglosassone, che ha la nostra identica base culturale: è la cultura latina medievale quella che conta. È chiaro che nel caso di culture lontane le cose si fanno molto più complesse.”

Chiara Fazi

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