Mirella Galletti: insegnare Storia dei Paesi Islamici
Mirella Galletti: insegnare Storia dei Paesi Islamici
L’Orientale centro propulsore sugli studi di arabistica e d’islamistica
Mirella Galletti, Lei ha insegnato Stili e generi letterari arabi dal 2003 al 2010 presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Orientale, mentre ora è di ruolo come docente di Storia dei Paesi Islamici (L-OR/10) presso la Facoltà di Studi Politici della Seconda Università di Napoli. Ha notato un forte interesse degli studenti della Facoltà di Lingue per il mondo arabo?
“Chi si iscrive al corso di Lingua e letteratura araba alla Facoltà di Lingue è molto motivato nell’apprendimento della lingua. L’arabo è l’unica lingua orientale della Facoltà, gli studenti sono circa duecento e la loro preparazione viene apprezzata. La lingua araba è materia d’insegnamento in tutte le quattro facoltà dell’Orientale ma se il picco degli studenti è alla Facoltà di Lingue vorrà certamente dire qualcosa.”
Secondo lei, negli studenti era prevalente l’interesse per il mondo arabo o quello per l’islamismo?
“Chi si iscrive a Lingue ha interesse precipuo per il mondo arabo. Compito essenziale del docente è allargare il campo al mondo turco e iranico, elementi essenziali dell’Islam.”
Lei sottolinea che parecchi degli studenti hanno un’esperienza diretta del mondo arabo. L’impatto di questi giovani ‘arabisti’ (in formazione) coi Paesi arabi è positivo, in generale?
“Con le borse di studio date dal Ministero degli Esteri gli studenti si recano per soggiorni più o meno lunghi principalmente in Siria e in Egitto. Sono esperienze fondamentali non solo per apprendere la lingua, ma per contestualizzare un popolo, comprendere l’altro, scoprire elementi nuovi al di fuori del contesto universitario, doversi misurare e adattare ad altri modi di vivere.
Lei è riuscita a compattare un gruppo di Suoi studenti dell’Orientale, tanto da pubblicarne i lavori nella rivista La Porta d’Oriente diretta da Franco Cardini.
Il corso che ha terminato la specialistica nel 2009 aveva studenti molto motivati e che in gran parte mi avevano seguito nel triennio e poi nella specialistica. Quindi con loro ho potuto continuare negli anni il filo del discorso e non tornare continuamente all’abc.
Io cerco di applicare la maieutica, l’arte di tirar fuori dall'allievo pensieri e interessi personali. In genere non impongo la tesina. Chiedo sempre allo studente quale Paese e quale argomento lo interessi e parto dalle sue indicazioni per lavorare insieme. Lo studente sceglie l’argomento, gli vengono date indicazioni su come muoversi e dove cercare la bibliografia, poi deve esporre in aula e quindi il lavoro viene discusso collettivamente. Questo iter è fondamentale per fare sviluppare le capacità individuali. Io sono solo il direttore d’orchestra, ma lo studente si deve percepire come solista e parte di un gruppo che lo sostiene. I miei studenti sanno che io nutro un grande rispetto nei loro confronti e, anche se può essere percepito come deleterio sentimentalismo, voglio loro molto bene.
Il numero della rivista di cui stiamo parlando è diviso, grosso modo, in due nuclei tematici fondamentali: il primo è l’orientalismo italiano e la sua storia; il secondo è dedicato alle comunità cristiane nel Vicino e Medio Oriente.”
Nello scegliere i propri temi di ricerca, secondo quali criteri gli studenti si sono mossi? Che cosa li ha spinti verso l’uno o verso l’altro versante?
“Chi seguì quell’anno il corso sull’orientalismo italiano e optò per la relazione, invece che portare un libro all’esame, scelse l’orientalista tra i nomi da me dati. Chi in quel periodo risiedeva nel mondo arabo mi portò le sue esperienze oppure prima di partire concordò l’argomento così da poter fare ricerche in loco come quella sulla comunità italiana in Egitto e l’istruzione egiziana. Internet è un grande strumento che mi ha permesso di seguire passo passo le ricerche, indicare vie di ricerca, e così via.”
I suoi interessi scientifici si volgono soprattutto alla storia del popolo curdo, diviso in ben quattro Paesi (Turchia, Siria, Iraq e Iran). Quale il rapporto tra le sue ricerche di arabista e il suo amore per il popolo curdo? Sono conciliabili? E come?
“Il mondo arabo islamico è un mosaico di etnie, confessioni religiose e lingue. Amo il popolo curdo per la dignità, senso dell’onore, ospitalità, il sorriso e il senso dell’humour anche nelle situazioni più tragiche. Il mondo arabo, turco e iranico da cui i curdi sono circondati devono essere considerati complementari e non in antitesi. Poi amo ripetere che, per non so quali motivi imperscrutabili, l’Iraq ha sempre rappresentato il mio Paese di riferimento. Quando arrivo alla frontiera mi dico: «Sono arrivata a casa». E all’interno del mondo arabo gli arabi iracheni sono quelli che prediligo così come i curdi iracheni sono quelli con cui mi sento in maggiore sintonia all’interno del mondo curdo. Devo però ammettere che, quando sono in compagnia di iracheni, sia i cristiani sia gli arabi concordano nell’affermare che si percepisce la mia sintonia con i curdi. Abbiamo tanto in comune! Ho iniziato i miei studi all’Accademia curda di Baghdad, sono stata subito accolta dai maggiori curdologi, ho visitato tutto il Kurdistan e sono andata tra i profughi del Kurdistan in Turchia. Mi sento parte integrante della loro società.”
Vi sono ancora zoroastriani tra i curdi? Se sì, come si spiega la persistenza di questo antichissimo culto, nonostante la conversione all’Islam (di stampo sunnita)?
“I seguaci dello zoroastrismo sono in Iran e India, ma ben pochi tra i curdi. Però persistenze del culto sono presenti nella religione yazida e nel mantenimento di alcune tradizioni.”
Lei ha pubblicato recentemente in francese Le Kurdistan et ses Chrétiens (Paris, Cerf, 2010, pp. 400). Vuole accennarne il contenuto?
“Analizzando la storia del Kurdistan e recandomi nella regione è subito emersa la presenza dei cristiani. Andando tra i profughi venivo sempre fermata da qualcuno che mi diceva con grande orgoglio: «Io sono cristiano». Emerge la specificità. Nella società del Kurdistan, e in particolare in quella irachena e iraniana, le varie componenti curda, ebraica e cristiana hanno convissuto per tanti secoli. I cristiani curdistani parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Quindi questi curdi, considerati rozzi e prevaricatori, di fatto per due millenni hanno rispettato le lingue e le religioni delle altre comunità presenti nel Kurdistan. Un grande esempio di tolleranza.”
Lei è stata anche nel Kurdistan iracheno e vi ha svolto attività seminariali presso le Università di Erbil e di Sulaimaniya (1994). Quali le Sue impressioni complessive?
“I curdi sono fieri di essere curdi, vogliono essere parte integrante della società internazionale. Hanno l’anelito di essere informati, di sapere ciò che succede oltre il Kurdistan. E gli studenti sono molto aperti. Quando mi chiedevano da dove venissi e io rispondevo: «Sono italiana», quasi sempre rispondevano: «Anche Garzoni era italiano». E mi stupivo della popolarità del domenicano torinese Maurizio Garzoni chiamato il padre della curdologia. Fu il primo in Occidente a pubblicare Grammatica e vocabolario della lingua kurda composti dal P. Maurizio Garzoni De' Predicatori Ex-Missionario Apostolico (Roma, Nella Stamperia della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, 1787, pp. 288). Ma in Italia è uno sconosciuto...”
Lei è nota anche per aver pubblicato nel 2006 una Storia della Siria contemporanea. Popoli, istituzioni e cultura (Bompiani, Milano, 2006, pp. 175).
“Questo è stato il primo testo in Italia a ricostruire i tormentati sviluppi storico-politici e la complessità etnico-religiosa della regione nel corso del XX secolo. La Siria ha un ruolo centrale nello scacchiere mediorientale.”
Ora c’è crisi profonda in Siria, e gli scontri sono quasi quotidiani. Gli Assad, il padre e poi il figlio, sono al potere da quarant'anni. Ritiene giusto un mutamento nel senso di una democrazia?
“La Siria è un grande Paese, con una profonda cultura che ha le sue antiche radici nella mediazione tra cultura greca e cultura araba. Gli al-Asad hanno assicurato stabilità al Paese che rappresenta l'ultimo bastione nei confronti di Israele e sostiene la causa palestinese. In Siria c'è corruzione ma non ai livelli di Tunisia, Libia, Egitto. I diritti umani fanno acqua. La struttura sociale è abbastanza livellata. Il malessere è evidente, i giovani premono, la nomenclatura di cui Bashar al-Asad rappresenta il volto più presentabile, cerca di mantenere il potere. Ci sono molti giochi ancora oscuri.”
Condivide l’affermazione di Franco Cardini secondo il quale «l’orientalismo – e l’orientalistica: soprattutto (ma non solo) l’arabistica – sono figli, se non esclusivi, comunque precipui della cultura italiana»? Se sì, perché?
“L’Italia è stata il ponte anche geografico da e verso il mondo islamico. Rilevanza fondamentale ha avuto la Chiesa cattolica che ha mantenuto rapporti, non sempre cordiali a dire il vero, con le comunità cristiane spesso considerate eretiche. Nel Vicino e Medio Oriente risiedono da duemila anni i fedeli che per primi si convertirono al cristianesimo.
Nella rivista, o (meglio) nei lavori degli studenti che ne costituiscono il fascicolo, si parla spesso dei più celebri nomi dell’arabistica all’Orientale: il grandissimo Giorgio Levi Della Vida (1886-1967) che nel 1913 vinse il concorso di arabo per l’Orientale e vi insegnò fino al 1917; Carlo Alfonso Nallino (1872-1938) che insegnò all’Orientale dal 1894 c. fino al 1902 e vi ritornò poi nel 1913 come Regio Commissario al riordinamento dell’Istituto Orientale; Laura Veccia Vaglieri (1893-1989), che insegnò dal 1935 Lingua e letteratura araba. In tempi più recenti: Alessandro Bausani (m. 1988), professore di Lingua e letteratura persiana, ma esperto di una trentina di lingue (e in seguito insegnò Islamistica alla Sapienza di Roma), e Pier Giovanni Donini (m. 2003), professore di Storia dell’Iran e dell’Asia Centrale.”
Può fare il punto sugli studi di arabistica e d’islamistica all’Orientale?
“L’Orientale è stata un centro propulsore di questi studi. Non dimentichiamo che Napoli è al centro del Mediterraneo e ha sempre rappresentato un luogo di incontro delle culture e non solo.”
Francesco De Sio Lazzari