Non possiamo non dirci fortiniani

 

Non possiamo non dirci fortiniani

Autoritratto di Franco Fortini

Giovanni La Guardia nell’ambito del seminario Musica Occidentale e Orientale ha tentato un’operazione estetico-teorica sulla figura di Franco Fortini

"Fortini è stato sempre un eretico". Così si esprime Andrea Zanzotto, l’ultimo grande poeta vivente, in un libro pubblicato un anno fa (Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio, Einaudi, 2009), libro nel quale Mario Breda, giornalista del Corriere della Sera, lo intervista sull’epoca contemporanea e sul possibile ruolo, in essa, della poesia. Il termine eretico ha un’etimologia di derivazione greca, viene da airesis che significa scelta o anche partito. Mai termine è stato più appropriato per indicare Fortini, di cui la poesia e la stessa vicenda esistenziale hanno sempre preso la forma di una scelta forte, al di là di ogni compromesso e consapevole delle conseguenze. A proposito di scelte che producono effetti, Sarte nel 1947 in Che cos’è la letteratura? scriveva che lo scrittore impegnato sa che la parola è azione, è come una rivoltella carica, e se parla spara. Sull’inalienabilità di tali scelte Ingeborg Bachmann, invece, diceva che il poeta esiste realmente solo quando segue una sua traiettoria come l’unica possibile e il suo compito gli si rivela nel momento in cui capisce di non avere altra scelta (inverno 1959-60, Lezioni di Francoforte). Scegliere, essere di parte, questo ci insegna Franco Fortini, ma parlare di questo poeta oggi, può sembrare superfluo, soprattutto se lo si fa nella forma della dissertazione accademica, dove il rischio del "già detto£ è in agguato dietro l’angolo. Una strada diversa però c’è: più dissestata certamente, ma capace di aprire orizzonti di significato ampi. A percorrerla è il professore Giovanni La Guardia, organizzatore del seminario Musica Occidentale e Orientale, che ha provato un’operazione estetico-teorica sulla figura di Fortini. L’idea è stata quella di mettere assieme un materiale eterogeneo, con l’aiuto della fotografa Paola Pagliuca e di alcuni studiosi del Centro Studio Franco Fortini di Siena. Tutto ciò nella consapevolezza che dalla collisione di questi materiali potesse venir fuori una riflessione aperta, con l’intento non solo di raccontare un’epoca attraverso un poeta e viceversa, ma anche di far parlare le diverse voci di Fortini che mostrano la forza delle sue scelte e mirano a sfuggire "l’intreccio ridicolo di pseudo-comunicazioni in mezzo alle quali viviamo". 
Non si è trattato di un discorso unitario ma di un lavoro scandito in dieci sezioni durante le quali hanno dialogato fotografie, filmati, brani musicali (lo studente Enzo Corbinci ha musicato alla chitarra con grande intelligenza e gusto la poesia Piccolo Zoo) e soprattutto testi letti a più voci ed estratti da alcune poesie, da saggi di critica sociale, dalla lettera a Raniero Panzieri di Quaderni Rossi, da quella agli amici di Quaderni Piacentini e dall’intervento alla manifestazione per la liberazione del Vietnam. A questi si sono aggiunti brani di Brecht, Césaire, Eluard e Scotellaro. Frammenti di scrittura in contrappunto a frammenti di storia, movendosi da Firenze alle Alpi Apuane, dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale alla fuga in Svizzera, dalla Resistenza all’Ungheria del 56’, dalla Primavera di Praga alla Cina di Mao. Un’esperienza su livelli diversi, il cui filo non va riannodato per farne qualcosa di concluso, ma anzi, come dice La Guardia, rappresenta la base di partenza per uno sviluppo ulteriore di un discorso che si apre a diverse prospettive perché, per citare ancora la Bachmann, "la letteratura non è un fatto compiuto ma è il territorio più aperto". 
In una congiuntura culturale piena di contraddizioni come quella attuale, dove la poesia e la letteratura in generale spostano sempre più i propri confini, tanto da farli coincidere con lo spazio del chiacchiericcio generale, forse, utilizzando un’espressione tanto di moda negli ultimi anni, si deve affermare che non possiamo non dirci fortiniani.

Aniello Fioccola

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