Paola Sacerdoti: non esiste una musica ebraica pura
Paola Sacerdoti: non esiste una musica ebraica pura
Paola Sacerdoti, docente di Letteratura Poetica e Drammatica al Conservatorio di Napoli, ha trattato della cantillazione e del canto liturgico nelle feste ebraiche della diaspora
L’Università L’Orientale e il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli nei mesi scorsi hanno firmato una convenzione sulla base della quale saranno organizzate una serie di iniziative che vedranno scendere in campo le diverse competenze delle due istituzioni. Il seminario di Musica Occidentale Orientale è lo spazio in cui questo sodalizio dà i suoi maggiori frutti. Questa settimana Paola Sacerdoti, docente di Letteratura Poetica e Drammatica al Conservatorio, ha tenuto una lezione sulla cantillazione e sul canto liturgico nelle feste ebraiche della diaspora.
Il valore della musica per gli ebrei si gioca in una oscillazione tra la conservazione delle tradizioni e i luoghi in cui essi sono stati costretti ad andare a causa della diaspora. Si tratta di un equilibrio difficile da raggiungere e per questo motivo è impossibile parlare di una musica ebraica pura.
La professoressa ha passato in rassegna le varie tipologie di ebrei, soffermandosi sugli ashkenaziti, sugli yemeniti, sui falasha e sugli ebrei d’Italia, in particolare quelli di Roma che sono i più importanti per la presenza della scuola rabbinica. Si è poi concentrata sui ghetti: costruiti nei luoghi più degradati delle città e chiusi da muri, essi hanno impedito agli ebrei la libertà di movimento, costringendoli a pochi mestieri (usura e commercio di stracci). I ghetti furono chiusi da Napoleone, ma poco dopo, con la Restaurazione, venero riaperti obbligando di nuovo gli ebrei a una segregazione forzata. La maggior parte di essi, in Italia, si concentrarono nei territori dello Stato Pontificio e nelle regioni centrali, dato che la maggioranza degli ebri italiani risiedeva al Sud.
La Sacerdoti ha spiegato alcune tra le più importanti feste della cultura ebraica: il Shabbàt, va dal venerdì sera al sabato sera, in esso non si fanno lavori manuali ma si riflette su sé stessi e su Dio; lo iòm Kippù o “Giorno dell’espiazione” durante il quale si medita sui peccati propri e degli altri sforzandosi di perdonare; la “Festa delle capanne” commemora l’uscita dall’Egitto e consiste nel costruire una sorta di capanna con cannucce ; il Purìm è dedicato all’episodio biblico della regina Ester e Aman, si tratta di una festa cara soprattutto ai bambini perché c’è l’usanza di travestirsi; l’Hanukkah o “Festa delle Luci” ricorda l’oltraggio al candelabro del tempio.
Un’importanza decisiva, dal punto di vista artistico, l’ha avuta la millenaria battaglia contro l’idolatria: ciò ha impedito alla cultura ebraica di avere una propria storia dell’arte paragonabile a quella occidentale e per avere il primo grande pittore bisogna aspettare il Novecento con Chagall. La musica, invece, comporta implicazioni differenti ed essendo un linguaggio non stanziale è tipica dei popoli in continuo movimento come gli ebrei. La caratteristica principale della lingua ebraica è l’assenza di vocali nella scrittura: vengono segnate solo le consonanti e ciò rende i canti di difficile intonazione. Tuttavia tra il VII e il X sec. alcuni studiosi, rifacendosi alla tradizione orale, si occuparono di aggiungere ai testi segni grafici che permettessero il canto; successivamente altri vi apposero accenti. Dunque i cantori, che in genere sono tenori o baritoni, seguono testi scritti da cui devono risalire alla presenza delle vocali e ai gusti, avendo perciò un ampio margine di interpretazione tanto che lo stesso brano può risultare irriconoscibile se cantato da persone differenti.
L’ultima parte dell’incontro è stato dedicato all’ascolto di sei canti provenienti da diverse tradizioni: dal mondo askenazita, dal Marocco con influenze andaluse, dallo Yemen (nella stessa melodia del canto marocchino ma con una musicalità più aspra), da Firenze, Ferrara e infine da Roma con influenze folcloristiche del centro Italia.
Aniello Fioccola